Quella linea sottile | Alt-J @ Ferrara sotto le stelle

Le fotografie sono a cura di Alise Blandini

Dovremo necessariamente ripensare al concerto degli Alt-J in piazza Castello per il Ferrara sotto le stelle da due punti di vista differenti, quello affettivo che ti fa uscire dal baretto non appena senti coi brividi l’ingresso di 3WW, e quello più critico su come qualcosa sembra non essere andata. E non parliamo dei problemi tecnici, con tutta la pioggia che ha fatto dal mattino fino a poche ore dall’inizio far funzionare un impianto del genere non è poco, chi si è preso l’acqua lo sa, e pregava che non lo annullassero.

Due anni fa a Milano, a prendere i pugni per entrare nella metro, c’eravamo, e proprio per questo non riusciamo a spiegarci se sia colpa del solito difetto nostalgico soprattutto perché mentre cantavamo Matilda in fondo ci sentivamo di essere nel posto giusto. E poi dove, sotto al Castello, stenti a credere di trovarti lì, a sentire proprio loro.

 

 

C’è qualcosa di diverso, dovuto anche all’acustica da esterno e all’assenza di Cameron Knight, che aveva sostituito Sainsbury per i live fino al tour di Relaxer. Il suono per questo motivo esce più delicato, non supera mai un immaginario limite estetico di toni, i bassi non esplodono come eravamo abituati, non tagliano a metà il petto nemmeno con Breezeblocks. È un’atmosfera più folk, raccolta e veloce, che sfugge via in fretta, fedele alle sue geometrie. Campo giusto per lasciare che Hit Me Like That Snare acquisti un’imprevedibile forza, rispetto al ruolo minore e principalmente di sfogo all’interno dell’ultimo album dei ragazzi di Leeds. Elemento di rottura fra Matilda, il suo coro, le parole dolci, e Taro. Musicalmente sono cresciuti, hanno limato all’inverosimile ogni dettaglio, spingendosi oltre quei punti deboli che al Mediolanum Forum rendevano la loro performance più fragile – ma non per questo d’impatto minore. La voce di Newman non trema più, si apre e lascia coinvolgere tutti in questa piccola grande favola.

La questione emotiva è ancora preponderante, ci finisce dentro chi avevamo attorno, col kway o parecchie nuove energie da bruciare. C’entra anche l’hype che gli Alt-J si portano dietro e la conseguente necessità di vedere tanti cellulari alzati. Ma sono quei momenti in cui chiudere gli occhi e cullarsi, anche da soli, perché non manca chi è come te.

 

 

Chiudiamo per dire che è ancora difficile distaccarsi da quei suoni, che ci sono ancora attaccati e che Relaxer suonato dal vivo con l’orchestra è l’unica cosa che forse può superare l’esibizione di Ferrara, che ti colpisce, in maniera diversa e richiede un approccio nuovo. Non hanno mai lasciato, del resto, che i punti fermi li limitassero, per togliere le parole ai critici e a quelli che ogni nuovo brano lo vedono come l’ennesimo esame da valutare per il confronto coi Radiohead. Ma li abbiamo visti tutti rientrare, come se nulla fosse, riprendere la stessa trance agonistica interrotta per una decina di minuti. Salutare il pubblico e parlargli in italiano, lasciargli il proprio spazio, fissati sulle proprie posizioni. Architetture dentro ai giochi di luce e fuori dagli strumenti. Bastava dircelo, forse, che probabilmente non li dimenticheremo mai per tante piccole cose, col dubbio se sarà così anche per gli altri.

 

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