Il Corpo delle Piccole Cose | La sensibile anatomia di Andrés Neuman

Un amore potrà cominciare dalla bocca o finire all’inguine, ma tutti passano dal collo. La sua perizia viene da scorribande notturne e merende al sole. Nel mordere un collo c’è ben più che la fame: ha il suo po’ di pane, e un altro po’ di rabbia. Amanti, vampiri e boia gli accordano un’importanza sospetta. Resta da chiarire quanto diverse siano le loro intenzioni.

Aggettivo desueto per eccellenza, “delizioso” è quello che più attiene a questo libriccino di centodieci pagine – Anatomia Sensibile – di Andrés Neuman edito da Sur (che dello scrittore argentino, naturalizzato spagnolo, ha già in catalogo Le cose che non facciamo e Vite istantanee). Qui, lo scrittore nato a Buenos Aires e stimato da Bolaño che curò la prefazione al suo – bellissimo – Frammenti della notte, si mette in gioco attraverso trenta miniature, trenta bozzetti, trenta schizzi volti a raccontare l’anatomia del corpo umano in ogni sua parte senza nulla tralasciare. Racconti brevi o prose poetiche, Neuman regala al lettore scritti che sono piccoli incanti e balsami per il cuore, con una scrittura che è il frutto di un cesellamento da orafo rinascimentale attraverso un lasso temporale che va dal novembre 2012 al luglio del 2019.

Ma cos’è davvero sensibile? L’anatomia del corpo umano o lo sguardo che – come l’occhio in copertina – sa posarsi su di esso senza mai negarne la corporalità, anzi, ma regalandole nuova linfa, attraverso momenti di arguzia, d’ironia, di dolcezze infinite, di attenzione ai dettagli, di comprensione dei difetti, di trasfigurazione letteraria?

Eppure Neuman non lascia dubbi quando dichiara che “Non c’è niente di trascurabile nella realtà, tutto resta” in un’immanenza tanto sbandierata quando guasconamente tradita attraverso il potere del desiderio e della fantasia.

Neuman esplora ogni piccola parte del corpo umano restituendo a ciascuna dignità di esistenza e volo poetico. Scomponendo il corpo nelle sue parti, somiglia a un personaggio di Requiem di Tabucchi, un copista che ingrandiva i particolari dei quadri di Bosch. Ma se lì, nelle opere del maestro fiammingo il dettaglio aveva sempre con sé qualcosa di angosciante e perverso, qui anche i possibili momenti conturbanti si trasformano in piccole esplosioni di gioia e scoperta, come se il corpo umano fosse una tela piena di colori che ci appaiono però per la prima volta così vividi attraverso la scrittura calibrata di Neuman. Ecco allora che “La fessura” della vagina può diventare un “sipario, dagli orli curvi” e “nella notte appropriata dischiude uno spettacolo”; le sue labbra diventano un “sistema di pieghe dal valore di origami”. E il momento del piacere maschile “si dibatte sempre tra l’ultima riga, il punto fermo e il silenzio inopportuno. Copioso esercizio di nevrosi, vuole essere traguardo e aspira al rinvio”.

In inverno, una certa specie di volatili fa il nido nelle ascelle. Sono uccelli domestici, che cinguettano poco. Frullano sotto il cielo stropicciato di un lenzuolo. Beccano briciole di pelle, attendendo la luce della primavera. Con l’estate emigrano e si agitano subito. Stridono nelle notti. Impazziscono di fronte al mare.

Sotto lo sguardo di Neuman, tutto sembra acquisire un senso diverso e ogni piccolo particolare del nostro corpo si ritrova catapultato sul palcoscenico di un teatro di segni dove assume nuovo significato. La pelle ha una memoria che “ricorda ogni giorno con rancore implacabile”, i nei formano “arcipelaghi”, mentre le efelidi sono ”una spruzzata di spezie cosparse sulla pelle […] e provengono da un graffio accidentale nel nuotare tra coralli”, “La capigliatura femminile tende a dialogare con chi la scarmiglia. Trasmette vibrazioni, rotazioni acrobatiche. Resiste per orgoglio. Muta per ansietà” e scopriamo che “chi bacia una schiena ottiene il perdono di Narciso: vede se stesso in cerca di compagnia. Ogni volta che la perlustriamo con la punta della lingua, si affranca una busta diretta a casa”.

Particolare de Il Ratto di Proserpina, Gian Lorenzo Bernini, 1621-1622, Galleria Borghese, Roma

La tempia è un tumulto, il cortile di un condominio in cui nessuno dorme. Ogni volta che si mette a pulsare, nella testa si aprono e chiudono finestre. Alcune chiedono silenzio. La maggioranza, sangue.

Così “niente è paragonabile al fascino puerile dei denti spaziati, tra cui s’intrufola, clandestina, l’allegria”, mentre “le palpebre si comportano come cineasti: spariscono per farci credere a quello che vediamo”.

Ma non tutto è calembour e gioco raffinato, tra le righe dei suoi componimenti viene fuori un ritratto a tutto tondo del corpo come parte da noi assolutamente inscindibile. Ecco allora che Neuman ci conduce per mano dentro lo spazio di riflessioni più profonde – “Ebbro di proprietà, il dizionario delira che penetrare equivale a possedere. Magari penetrare, come essere penetrato, significa trasformarsi nell’altro” – o, ancora “il cavo del palmo ignora il vuoto, è permanente possibilità. Sul filo di ogni punta delle dita passa il confine tra Ciò e Io. Graffiare ci aiuta a oltrepassarlo. Quante recinzioni spezzate in ogni unghia, che brandelli altrui! La mano afferra, ma mai possiede”.

Tutta la musica, quella vocale a parte, si fa con le mani. Ecco perché nell’intonata lingua castigliana suonare si dice «toccare» mentre in altre si dice «giocare ». Naturalmente, toccare può essere anche un gioco. La loro sessualità tende all’assolo, al duo da camera e al molto sporadico trio. Si ritiene che esistano arrangiamenti orchestrali.

Un ritratto di Andrés Neuman

Provando a rispondere alla domanda che ci eravamo posti all’inizio, ecco che la sensibilità dello sguardo dello scrittore sembra togliere una patina opaca dalla pelle, da tutto ciò che diamo per scontato e, come graffiando con l’unghia sulla superficie delle cose, ne scoprissimo una nuova languida morbidezza che restituisce al nostro corpo una sensibilità autonoma, che aspetta di essere notata, letta, compresa.

Così Anatomia sensibile si trasforma in un libriccino prezioso, sorta di breviario poetico, di rimedio contro l’invecchiamento del pensiero come, naturalmente, del corpo, una lettura da tenere nella tasca interna del cappotto, sopra il cuore a difenderci dai fendenti del freddo e dell’indifferente banalità.

L’ultimo dei trenta bozzetti è dedicato all’anima. Neuman sembra volerci ricordare – dopo aver dissezionato il corpo nelle sue parti, come un letterato anatomopatologo – che tutto alla fine è tenuto insieme, e che – più che la somma – siamo l’armonia delle nostre parti.

Si sfiora la bocca, bacia le sue stesse labbra, si sciacqua la gola sul punto di cantare […] l’anima inventa l’anima, non esiste senza i rumori dell’anatomia, ascende un altro po’, trema, ride e sfuma.

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