Aphex Twin – Collapse

 

Ogniqualvolta Richard D. James, in arte Aphex Twin, è in procinto di pubblicare un nuovo disco, vi sono due eventi che, immancabili, si verificano, come due funzioni all’interno di un algoritmo dal risultato scontato. Da un lato vi è l’isteria di un web che impazza e che negli scorsi mesi si è scervellato sul significato di poster e murales in 3D comparsi nella metro e sulle serrande di Londra e Torino; dall’altro, il mondo della musica pare fermarsi, trattenendo il fiato, concentrato in quell’esercizio di pazienza che è l’attesa della prossima pubblicazione di quello che è a pieno diritto uno il pioniere dell’IDM. Da qualunque lato si decida di osservare il fenomeno, trattasi delle due facce della stessa medaglia: il vivere con febbrile attesa l’avvento del D-Day, l’apparizione di quell’enigmatico messia dell’elettronica che, a cicli, svela il capitolo successivo di una bibbia sperimentale, dettandone i tempi di divulgazione ormai da decenni.

La sensazione condivisa è infatti quella che il producer inglese diffonda il suo vangelo, esplorando ogni volta un ambito differente, tanto consapevole (e disinteressato, almeno all’apparenza, dal pubblico giudizio) nel seguire le proprie linee di sperimentazione dal poterlo fare con estrema tranquillità, spiazzando inesorabilmente attese e aspettative. Così accadeva con Syro, un assemblato di tracce senza un baricentro, ma la cui forza risiedeva proprio nella disgregazione della direzione strategica unitaria dei precedenti Windowlicker e soprattutto Selected Ambient Works 85-92. O con Cheetah, nel 2016, in uno studio parossistico e morboso dell’omonimo synth digitale, che ha dato origine ad un lavoro retrò dalle trame impressionanti. Appunto, qualunque sia l’argomento o la situazione, il denominatore comune di ogni nuovo capitolo ha sempre trovato forma concreta, nonché piacevole conferma, nell’innovazione, ossia nel non ripetere qualcosa di già realizzato in passato.

 

Nella sua nuova opera, Collapse, ad un primissimo impatto, sembra che questa tensione verso l’inaspettato sia in esaurimento, come un reattore senza più propellente: l’opentrack del disco parte a svilupparsi lungo una sonorità che è inconfondibile, e che non può essere attribuito ad altri che ad Aphex Twin. Fa quasi sorridere individuare come campanello d’allarme quello che per quasi qualunque altro producer musicale sarebbe motivo di vanto (ossia avere un suono immediatamente riconoscibile e riconducibile al proprio operato), ma ci troviamo qui al cospetto di una leggenda, ed è ammissibile pretendere altro. Sembra dunque che, all’inizio, James si stia ritirando in una sorta di comfort-zone, statico, e che questa volta non si potrà assistere alla consueta ascensione, mentre alle nostre orecchie giungono poliritmie fantastiche ma dal sapore già conosciuto, perché assaggiato in precedenza. E’ veramente un territorio già esplorato? Tutt’altro. E’ un trucco, e in un attimo Collapse si getta molto più in profondità.

A metà strada del brano di apertura, infatti, questa agiata sensazione di familiarità termina bruscamente, come luci che si abbassano d’improvviso in una stanza trasformando un ambiente conosciuto in un orrido antro senza riferimenti. Lame acute di synth penetrano nelle carni della traccia, creando improvvisi paesaggi sonori alieni e annichilendo ogni racimolo d’armonia. E’ un momento tra i più sinistri e oscuri evocati dall’artista nella sua lunga carriera: suoni meccanici persi in calcoli senza soluzione e sirene che risuonano ininterrotte ad annunciare una catastrofe imminente. Ma tra il cambio di frequenze improvviso ed una serie di violente virate, si avverte –salda ai comandi- la mano del genio inglese, a guidare fuori dal centro di un improvviso mondo entropico, attraverso dei tunnel agli altri sconosciuti, l’ascoltatore inzuppato di suoni scroscianti. Simile è l’inizio di MT1 t29r, che prosegue nell’esplorazione di questo nuovo mondo collassato e distopico, con la sensazione di straniamento che perdura, sottolineata da un incessante ronzio di insetto meccanico.

L’EP prospera quando James sovrappone tra loro una serie di trame divergenti, creando una sorta di spazio multidimensionale: in 1st 44, ad esempio, ad un’atmosfera cavernosa composta da brume oscure e rarefatte, il producer giustappone una trama in filigrana sottilissima, che si increspa a picchi di altissima frequenza. Quando, all’improvviso, entra in scena un effetto digital in grado di frantumare il vetro, con frammenti che schizzano in tutte le direzioni, è chiaro ormai quanto quella percezione iniziale di affabile convivialità, non fosse che un’esca debitamente preparata. Proseguendo attraverso una complessità che non accenna a diminuire, l’album diviene quasi ipnotico nel finale: la traccia abundance10edit[2 r8’s, fz20m & a 909], a dispetto di un titolo techno-nerd, si dispiega in un’idilliaca odissea, rallentando il ritmo e lasciando che le percussioni in gomma vadano a infrangersi su un muro di synth a bassa gittata, mentre un suadente campione vocale invita a “lasciarsi guidare verso la terra dell’abbondanza”.

In tutto ciò, il bisogno di fluidità per strutturare e rifinire un lavoro di questo calibro è ovviamente tutt’altro che banale; ma tra tutte, è forse l’abilità nella quale il producer inglese più eccelle. I lacci che tengono unite luce, parti di IDM e paesaggi sonori oscuri sono resistenti e fatti di una fibra sonora che è il vero marchio inconfondibile dell’artista e che ondeggia costantemente tra una primaria aggressività ed una limpidezza chiarificatrice. Manco a dirlo, Collapse non è di per sé un disco accessibile, ma è di per certo un lavoro che rispecchia a perfezione i migliori elementi dell’opera di James. Inoltre, paradossalmente, ha un modo caldo e seducente di invitare ad approcciarsi ad un ermetismo così crudo, forse garantito proprio dal fatto che si tratta di un disco (e di un artista, soprattutto) totalmente liberato dalla convenzione. In breve, è il classico Aphex Twin: camaleontico, stimolante, imprescindibile.

 

 

 

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