Apparat – LP5

Per spiegare l’essenza di LP5, il nuovo album di Apparat, ricorrerò a una metafora  solo apparentemente campata in aria.

Con l’arrivo della primavera torna anche la voglia di concedersi un bel gelato fuori. Il mondo si divide in due fazioni quando si parla di gelati. C’è chi va sull’usato garantito e sceglie quelli confezionati: a chi non piace il classico cornetto? Sai già che sarà buono, magari non così buono, ma hai perfettamente idea di ciò che stai per mangiare ancora prima di prenderlo. E c’è chi si concede la gelateria, assaggiando gusti nuovi che magari deluderanno il palato ma che, se son buoni, saranno decisamente più buoni di quelli confezionati perché fatti in maniera artigianale e sempre diversa, sono più “umani” in quanto portano la traccia di chi li ha fatti.

Ecco, LP5 è decisamente un gelato da gelateria e Apparat si è dimostrato un gelataio più abile e coraggioso di quanto non pensassimo alla luce dei suoi lavori con i Moderat.

Foto di Seppino Di Trana

Arrivato a conoscere un successo mondiale in collaborazione con i due Modeselektor, Sascha Ring, in arte Apparat, si è trovato di fronte a una scelta che metteva in gioco non solo la sua carriera ma anche un certo modo di fare e intendere la musica.

Con i dischi dei Moderat, Apparat e soci erano riusciti a creare l’hype da Berghain. Avevano trasformato Berlino nella capitale dell’elettronica e l’elettronica in un tipo preciso di elettronica. Non solo rave ma una sorta di elettronica colta più trasversale che piacesse al ragazzo con la barba e gli occhialetti tondi e al raver con la cresta verde. La notorietà del brand Moderat aveva però creato dei binari sui quali la pista sembrava obbligata e sembrava piacere. Un meccanismo ben oliato che però aveva diluito in maniera apparentemente definitiva lo spirito dell’Apparat solista. L’Apparat più divertente di Walls, quello più introspettivo di Orchestra of Bubbles e quello decisamente sperimentale di Silizium. La sperimentazione che aveva fatto di Apparat il producer da seguire, il riservato dj con la voce ovattata che cantava sul metallo dei loop, sembrava essere destinato a rimanere un membro dei seguitissimi Moderat.

Poi, nel 2019, come un Jack Frusciante qualsiasi, Ring decide di abbandonare i Moderat dichiarandosi stanco della musica da club danzereccio e puntando a riprendere in mano le fila del suo discorso musicale più personale e intimo.

Foto di Alessia Naccarato

LP5 nasce da questa esigenza e, come potete immaginare, presuppone un coraggio da leoni. Il coraggio di allontanarsi da un certo modo di fare musica per il pubblico e riabbracciare un concetto d’arte fatta per sé stesso. Non dare agli ascoltatori ciò che vogliono ma ciò che non sanno ancora di volere. Basta nostalgia di questa Berlino con le mani in alto che, probabilmente non esiste più. Apparat l’ha capito subito che quei tempi erano andati e ha iniziato a rifare gelati artigianali, i suoi compagni, i Modeselektor, come dei fuoricorso alle feste Erasmus, non sono riusciti a distaccarsi da quell’immaginario risultando banali (come avevamo detto qui).

Abbandonate quindi le velleità da compositore di inni generazionali, Apparat torna alla sua essenza più vera. Rimessi a posto i synth bass della trilogia Moderat, Ring torna a un sound più umano, più artigianale e sentito con LP5. L’impronta della sua esperienza con i Modeselektor si sente e, sicuramente gli ha permesso di crescere, ma la sensazione che si ha ascoltando l’album è che, se l’obiettivo dei Moderat era quello di mostrare la luna nella sua perfetta sfericità e uniformità, quello di Apparat è di soffermarsi sui crateri. Una musica più attenta, precisa, vissuta, esperenziale.

Riprendere il filo per Ring vuol dire anche tornare al vecchio modo di comporre, quello fatto in collaborazione con il polistrumentista Philip Thimm, i cui violini avevano già arricchito Silizium nel 2015. Il lato analogico della musica permette ad Apparat di farci passare in una tempesta temporale tra passato e futuro.

Il più grande merito dell’album sta probabilmente nel riuscire a essere una continuazione del discorso Berlin senza essere banale, senza rimanere incastrato in alcun immaginario inesistente. Un racconto vero che guarda al presente e al futuro. E Ring dimostra molto bene di sapere che il presente non è solo elettronica ma è anche soundtrack (mai riuscirò a non pensare che Apparat abbia come modello artistico Thom Yorke) così come è dubstep, è cantato così come è strumentale. La musica di Apparat nasce da un’atmosfera che è quella berlinese ma cambia prospettiva. Non più Berlino che parla ma lui che parla di Berlino. Una visione soggettiva che propone ai suoi ascoltatori e che a me sembra infinitamente più bella della mera oggettività. Non una presentazione ma un’interpretazione.

Apparat con LP5 ha provato a parlarci di sé, riprendendo un discorso interrotto per raggiungere la fama e quanto sembra strumentale solo a farsi ascoltare da più orecchie quell’intermezzo Moderat. Il voto non va solo al bell’album che Ring ha sfornato ma anche al coraggio avuto nell’uscire dal gruppo per provare a essere quello che è. Bravo Apparat!

 

 

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