Appunti contro il moralismo della folla

C’è stato un tempo, di grande confusione storica in Italia, in cui guardare il programma di Michele Santoro somigliava a un atto rivoluzionario o a un gesto di profonda libertà, un po’ com’è oggi postare aforismi di meravigliosi dissidenti sui social network. Il momento che tutti attendevano con trepidazione all’interno di quel format televisivo erano i minuti dell’esibizione di Marco Travaglio che – in assolo – tentava di ricostruire la storia dell’Italia a partire dalle sentenze nei tribunali. Ho sempre avuto l’impressione che neanche Santoro digerisse Travaglio, ma per un conduttore tv bisogna scegliere quello che fa share. Travaglio ci riusciva, e parallelamente costruiva un immaginario di nuovo puritanesimo moralista. Devo ammetterlo: alla giustizia dei tribunali ho sempre preferito la giustizia sociale, in Italia però credo che l’interesse nei confronti della giustizia sia stato troppo spesso l’equivalente di quella da tribunali, trascurandone l’aspetto di uguaglianza sociale, libertà, welfare state, eccetera. Questa ossessione mono-maniacale per le aule dei tribunali ha portato a derive infinite: articoli di giornale scritti seguendo l’ordine delle sentenze del giorno (da una parte e dall’altra), atti d’accusa, delegittimazione della ormai famosa ‘casta’ politica tutta furfante e ladra, interesse per i talk show televisivi sui casi di giustizia day for day, guerra fratricida tra berlusconiani e anti-berlusconiani, moralizzazione ipocrita del paese con relativo atto di spionaggio alle lenzuola dei potenti (trans o puttane, è indifferente).

Per queste ragioni (e altre che non approfondiamo) non mi ha mai entusiasmato il Popolo Viola, o quello che era all’inizio: Di Pietro che prova a conquistare voti sul travaglismo latente del paese, che si mescola al Vaffanculo di Beppe Grillo, e cortei e sfilate di persone che protestavano contro Berlusconi dopo averlo votato (non credo nella statistica, ma per forza di cose in questo caso il conto dovrebbe trovarsi). La pretese di verginea moralità che ne è venuta fuori in Italia da tutto questo movimento di cose ha dello schizoide, il grande Dito Indice collettivo. Un po’ su queste premesse nasce la (de)generazione del Dito Indice, che man mano, sbocca nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo e compagnia: io sono pulito, tu sei sporco. La grande vittoria dei puritani. Sia chiaro: non sto dicendo che non dovremmo indignarci di quello che c’è di marcio nel nostro paese, però è anche una questione di metodo, e il metodo dell’inquisizione non mi piace. Sembra quasi che, sempre da queste premesse, tutto sia diventato casta, dal giornalismo alla politica al venditore ambulante, come dimostrano anche i recenti casi della Oppo e di Nicodemo. Come diceva Gesù Cristo, perché non guardi la trave nell’occhio tuo? Perché è più semplice ignorarla, e far finta che i delinquenti siano sempre ”gli altri”: tutto quello che faccio io è uno sfogo della frustrazione e va giustificato, se non pago le tasse è per sfogarmi dai deliri di uno stato che ruba il denaro ingiustamente e ha le tasse troppo alte, se sfascio qualcosa è perché loro non mi danno il lavoro, se non scopo è perché Berlusconi se le fa tutte.

Avremmo proprio bisogno di liberarci del cattolicesimo che rigurgita nei nostri stomaci. Quello che porta a parlare di coppie gay con giri di parole assurdi e insignificanti, l’eredità culturale che si sfoga nell’indignazione sempre e comunque. Ora che ci siamo liberati di vent’anni di delirio collettivo, vent’anni di occasioni perdute, e di profonde deviazioni berlusconiane, perchè non costruire direzioni diverse? Non so, basterebbero giornali liberi da queste stronzate. Questo pezzo potrebbe continuare, ma mi rendo conto che a volte è meglio fissare altre direzioni, quelle che vorresti.

(foto in alto: Claudio Bernardi/Lapresse)
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