Beach House – B-Sides and Rarities

Al di là del poter vantare all’attivo ben sei album da studio in tredici anni di carriera, i Beach House possono fregiarsi del merito di aver mantenuto sempre una qualità altissima nel percorso musicale intrapreso, dall’omonimo lavoro d’esordio all’ultimo Thank Your Lucky Stars. Il duo di Baltimora, composta dalla vocalist Victoria Legrand e dal polistrumentista Alex Scally, ha levigato suoni e atmosfere in una lunga serie di storie lente e meditate, ciascuna benedetta dalla straordinaria grazia della voce androgina della Legrand. Lungo la strada, alcuni pezzi sono stati “scartati”, non in quanto inferiori, ma semplicemente perché non considerati troppo in linea con il disco in produzione in quel particolare momento: ora, finalmente, tutti sono stati raccolti e il risultato – B-Sides and Rarities – è un quadro riassuntivo dell’elaborato cammino che la band ha affrontato, ora dipinto a tinte più forti e vivaci,  ora impreziosito da delicate sfumature.

In realtà il disco si apre con uno dei due inediti presenti al suo interno, Chariot, un microcosmo di  tutto ciò che i fan dei Beach House amano: un organo di chiesa che si fa spazio e si fonde con un tamburo prima e un crescendo di chitarra poi, in una cornice di glassa emozionale avvolgente. Sopra questa miscela si adagia stoica la voce di  Victoria, rassicurante e curativa, come uno strato di aloe sopra bruciature emotive. Un inizio che è un marchio di fabbrica inconfondibile.

Da qui prende il via un processo di ricollocazione delle tracce che, prodotte tra il 2005 e il 2015, vengono accostate le une alle altre senza seguire un preciso ordine temporale. Il risultato è una sorta di magico tetris musicale, con ogni pezzo che va ad incasellarsi nel giusto spazio lasciato libero, come se naturalmente non potesse trovarsi che lì. Ad una Baby che brucia di passione in una sensazione di perenne climax sensoriale viene accostata la melodia incalzante di Equal Mind; altro magnifico contrasto è fornito dal basso gorgogliante e minaccioso in Saturn Song, pezzo contaminato da evidenti influenze sci-fi, con la quasi eccessiva linearità della melodia di Rain in Numbers, che non a caso suona così antica, in quanto traccia segreta del debutto personale del duo americano. Ancora: i toni sognanti di Norway (iTunes Session Remix) spostano con decisione l’ago della bilancia emozionale su quel versante malinconico e cupo che i fan ben conoscono, e, se anche le voci soffocate dell’altro inedito Baseball Diamond sembrano rincarare la dose,  il piatto è subito riequilibrato dalla cover dei Queen Play the Game e dagli squilli sonori di The Arrangement.

In questa collezione di piccole miniature sensoriali così diverse tra loro, il filo conduttore è costituito dall’atmosfera di intimità e di fragilità emotiva attraverso la quale la voce della Legrand conduce l’ascoltatore con languida sicurezza, bussola in un cielo che si sgretola evanescente per poi ricomporsi sempre diverso. La cornice che si accompagna è quella di un minimalismo musicale, con la strumentazione ridotta all’essenzialità, una firma inconfondibile di chi oggi può essere considerato a tutti gli effetti un’icona del dream-pop internazionale.

In New Year (singolo estratto da Bloom),  i Beach House cantavano “All I wanted comes in colours”: questa sembra essere la chiave di lettura del loro lavoro di questi anni, l’elemento di coesione che unisce i diversi dischi. Il giallo ambrato dei due primi album, il bianco avorio di Teen Dream, il cobalto di Bloom e naturalmente il rosso acceso di Depression Cherry. In B-Sides and Rarities sono presenti tutte queste sfumature, in un arcobaleno che inizia e finisce in due punti imprecisati, ma che si staglia in alto, ben visibile agli occhi sgranati e pieni di meraviglia di chi, da sotto, ha la fortuna di osservarlo.

 

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