L’assassinio di Berta ci ricorda le lotte in Honduras

Berta Caceres in the Rio Blanco region of western Honduras where she, COPINH (the Council of Popular and Indigenous Organizations of Honduras) and the people of Rio Blanco have maintained a two year struggle to halt construction on the Agua Zarca Hydroelectric project, that poses grave threats to local environment, river and indigenous Lenca people from the region. She gathered with members of COPINH and Rio Blanco during a meeting remembering community members killed during the two year struggle.

Chissà cosa ne penserebbe Berta. In un atto senza precedenti, gli Stati Uniti hanno deciso di introdurre una nuova legge, chiamata “Berta Cáceres Human Rights in Honduras Act”, per sospendere ogni tipo di supporto militare in Honduras fin quando nel Paese non si porrà fine all’interminabile ciclo di violenza e violazione di diritti umani.

La notizia arriva, peraltro, nella giornata internazionale – #JusticeforBerta è l’hashtag sui social – che chiede giustizia per una morte che ancora oggi non può trovare pace. Il 3 marzo 2016 Berta Cáceres viene uccisa nella sua abitazione a La Esperanza. La sua ventennale lotta politica viene spesso associata alla questione ambientale ma il suo più grande merito è l’aver riportato il suo popolo a combattere per l’autodeterminazione. L’Honduras rappresenta con la sua storia tutto quello che l’America Latina ha vissuto nell’ultimo secolo. E’ stato il primo Paese sudamericano in cui una grossa multinazionale americana si è insediata, portando con sé un’ondata di repressione politica – governi fantoccio e soppressione dei movimenti sindacali in primis – aiutata dalle forze militari statunitensi. Un fenomeno dilagato poi nell’intero continente nelle stesse modalità e le cui conseguenze sono tragicamente visibili ancora oggi: secondo un rapporto ONU, l’America Latina è la zona più violenta del mondo e l’Honduras ne è il Paese capofila con 90.4 omicidi ogni cento persone. Un record che gli yankee hanno contribuito a realizzare con le ingenti somme di denaro destinate a finanziare training, operazioni militari e armi.

Ma non è tutto: con la corsa alle materie prime, molte comunità indigene sono state private delle proprie terre e dunque delle attività per la sussistenza (principalmente, l’allevamento e l’agricoltura) che costituivano anche la loro identità e cultura. Per aiutare queste popolazioni a resistere materialmente e restituire loro dignità, Berta fonda nel 1993 il Consiglio delle organizzazioni popolari dell’Honduras (Copinh).

A questo si aggiunga il golpe del 2009 – e da questa data si comincia a considerare l’Honduras il Paese più pericoloso al mondo – in cui il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya viene rovesciato dall’esercito. Piccolo dettaglio sullo sfondo: come dichiara la stessa Berta, Hillary Clinton – all’epoca Segretaria di Stato – ebbe un ruolo fondamentale nel supportare il golpe ed impedire che Mel Zelaya, candidato sostenuto dai movimenti sociali honduregni, venisse rieletto. E la stessa candidata democratica alle presidenziali usa 2016 confessa le sue azioni nel libro Hard Choices.

In seguito al golpe, c’è stata una crescita di progetti a forte impatto ambientale, come l’apertura di miniere o la costruzione di dighe. E qui cominciano le lotte sociali per fermare questi grossi cantieri edilizi; non a caso, a partire dal 2009 l’Honduras è diventato il Paese con il più alto tasso di attivisti uccisi: una media di due a settimana secondo il rapporto della ong Global Witness. Sono queste le conseguenze delle “scelte difficili”?

Grazie alla grossa campagna contro Agua Zarca – un progetto (attualmente sospeso) per la costruzione di una diga finanziato dalla Banca Mondiale e altri fondi internazionali – Berta ha ricevuto il premio Goldman, ma anche moltissime minacce. La sua morte ha avuto una risonanza mediatica internazionale e, a distanza di tre mesi, fa molto rumore. Tutto il sangue versato dall’Honduras ha trovato finalmente una foce: il Congresso americano. La legge appena approvata non restituirà le vite di Berta e degli altri attivisti, non porrà fine allo stra-potere della polizia corrotta, non renderà l’Honduras un Paese più sicuro per chi lotta per i diritti umani, ma certamente è l’ammissione di responsabilità di chi ha avuto un ruolo in tutto questo. E’ l’ennesimo obbiettivo raggiunto di una lotta che Berta riesce a portare avanti anche da lassù.

 

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