Permanent Vacation | I Blonde Redhead portano New York alle OGR di Torino

Amedeo Pace, Simone Pace, Kazu Makino. C’è una buona probabilità che una fetta consistente del pubblico accorso in massa lo scorso sabato alle OGR Officine Grandi Riparazioni – di Torino, richiamato magari dall’efficace battage pubblicitario e dal richiamo della splendida location più che dall’amore per la musica indie, avrebbe fatto molta fatica a collegare questi tre nomi dal suono così poco americano a quello più altisonante e cool di Blonde Redhead con cui il trio si presenta da esattamente venticinque anni, nonché alla città della loro provenienza che ha dato il tema all’intera rassegna che li ha ospitati: New York. Ma certo è una benedizione che un biglietto a dieci euro riesca ancora a riempire i locali di gente che non ha fatto programmi per il week-end, già che regala l’occasione a noialtri addicted di musica live di goderci di un concerto così intenso in una struttura splendida quale questo padiglione industriale dismesso e riconfigurato per eventi di varia natura, piuttosto che nei soliti bugigattoli bui e lerci in cui sono confinati i nostri beniamini che solitamente non hanno i numeri per riempire gli stadi.

Scommessa vinta dagli organizzatori, dunque, dagli ascoltatori occasionali, ma soprattutto direi da chi invece si era segnato la data sul calendario da tempo. Benedizione doppia nel caso dei tanti altri che seguono le diverse evoluzioni di questa band così unica nel panorama della musica indipendente fin dai tempi della loro più originaria incarnazione noise-rock, per i quali l’incontro con i Blonde Redhead è avvenuta in occasioni simili nei primi tour della band in Italia, come nel caso del sottoscritto accadde nel 2001, sullo sfondo del magnifico Maschio angioino di Napoli – Napoli che è l’unica altra data italiana di questo tour. Il cappello autobiografico-generazionale non è gratuito, ma motivato dalla sorpresa che ha accolto i fan di vecchia data all’apertura del concerto, quando nella consolidata disposizione triangolare del terzetto sul palco, che vede Kazu sulla sinistra, Amedeo sulla destra, e Simone un po’ dietro, perfettamente al centro, circondati da schermi con immagini della grande mela alternate al live painting del pittore Daniele Galliano, partono le note di Bipolar, da Fake can be just as good, disco che ha da poco superato la boa dei vent’anni: un pezzo che non mi è capitato di ascoltare dal vivo praticamente da quel concerto a Napoli del 2001, abbandonato dalla band insieme al resto del loro repertorio precedente a Melody of Certain Damaged Lemons al momento del loro passaggio alla fase più pop ed elettronica.

Foto di Alessia Naccarato

A vedere Kazu e Amedeo avvicinarsi e allontanarsi nella loro leggerissima danza, sfiorandosi per poi tornare alle rispettive posizioni senza perdere la tradizionale compostezza, sembra quasi di essere tornati a quel periodo. Non seguiranno altri pezzi di quella fase, purtroppo, in quello che procede come un best of vero e proprio attingendo invece con Falling Man al più ricorrente Misery is a Butterfly, protagonista del revival nel tour in cui l’anno scorso è stato ripreso per intero, e al successivo 23 con la title-track del disco, per poi distribuire sospiri con la ballad For the Damaged, che tira giù tra il pubblico più di una lacrima. Si passa quindi all’esecuzione dei quattro brani dell’EP più recente, 3 O’Clock, probabilmente la parte più intensa ed evocativa di questo live a bassa intensità, alternati ad altre celebri tracce riprese dai tre dischi di cui sopra: Elephant Woman, Doll Is Mine, Dr. Strangeluv, Silently e una versione strumentale densissima di Loved Despite of Great Faults. Dell’ultimo disco Barragàn sopravvive solo Dripping, mentre Penny Sparkle resta totalmente ignorato al momento in cui la band esce dal palco salutando dopo un’oretta appena abbondante di concerto, tornando per eseguire Equus nell’encore.

Come in ogni tour dei Blonde Redhead, anche a questo giro assistiamo a uno spettacolo originale e mirato a restituire una specifica gamma di sensazioni, e in questa occasione i fratelli Pace e Kazu hanno puntato alla componente malinconica del loro repertorio piuttosto che a quella più trascinante e rock, nella maggior parte dei casi dilatando le ritmiche dei pezzi selezionati, forse per metterli al passo con le melodie languide del loro EP più recente. Ma sarà stata la brevità dell’esibizione, sarà anche un po’ colpa del grigiore di Torino in una serata così nebbiosa, comunque lasciamo le OGR col senso di insoddisfazione di chi risveglia all’improvviso da un bel sogno. Che a pensarci, vuol dire che il concerto ci è proprio piaciuto.

 

Fotografie di Alessia Naccarato

 

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