Bob Marley e la notte della Giamaica

Bob Marley è morto nel 1981, ma ci è andato molto vicino anche nel 1976, quando gli spararono, per ucciderlo, in casa sua. Ricostruire in poche righe cosa è stato questo musicista non è possibile. Mettiamo solo qualche punto fermo. Bob Marley è il reggae, ha portato questo genere musicale a vette inesplorate prima. Bob Marley è convintamente seguace della religione Rasta, tanto da esserne attivista e da battersi contro il sistema oppressivo e ingiusto (babilonia), per la unificazione di tutta la gente nera, attraverso la non violenza.

La Giamaica, e Kingston in particolare, a metà anni Settanta è molto lontana da quell’immagine di isola felice e rilassata che molti vagheggiano. La capitale è in mano a bande che si combattono violentemente tra loro, lasciando a terra morti, feriti e case distrutte. Nel 1962 la Giamaica aveva ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito, ma faticava a trovare immediatamente una propria stabilità in relazione alla nuova situazione. C’è un irrisolto e incandescente conflitto politico e sociale da allora, che l’isola caraibica si porta dietro, unito a una disastrosa situazione economica. Il Fondo Monetario Internazionale pretende l’imposizione di misure drastiche che aumentano caos e incertezza, sul versante internazionale la simpatia del Primo Ministro Michael Manley per Fidel Castro, non giova certo a tessere rapporti capaci di migliorare le cose.

Bob vive a Trenchtown, il sobborgo peggiore della capitale. La politica, che si contende il governo del paese, spesso e volentieri più che combattere le gang ci scende a patti per averne un ritorno elettorale. Bob, sebbene attratto dalla carriera di calciatore professionista, cresce cominciando a scrivere canzoni e dedicandosi alla musica. A vent’anni fonda i Wailers, con Bunny Livingston e Peter Tosh, (sono anche gli anni in cui il rocksteady volge al reggae). Il successo non è immediato, ma dopo qualche anno arriva.

Bob non lascia subito l’isola, e la sua casa, sempre aperta a tanta gente, diventa una zona franca, immune dalla violenza che si diffonde sempre di più nel paese. Nel 1976 ha già lanciato brani che lo hanno reso famoso in tutto il mondo, a partire dal singolo No Woman No Cry del 1975, e nella sua terra è visto un po’ come un amico di tutti. Questa equidistanza dalle fazioni politiche (e criminali) lo porta a voler fare un passo a favore della sua gente, per omaggiarla e ringraziarla dell’affetto che costantemente gli tributa.
Prende così forma la serata “Smile Jamaica”.

La data viene fissata per il 5 di Dicembre del 1976. Ma dal giorno dopo la conferenza stampa di presentazione del concerto, Bob comincia a ricevere minacce di morte, presumibilmente dalla parte politica non governativa, che vede questa iniziativa musicale come un sostegno elettorale ai governanti. Il musicista, pur risiedendo sempre nell’isola, è sempre più spesso in giro per il mondo a suonare e non ha piena coscienza dell’incandescente lotta per il potere che sta avendo luogo nella sua terra: il clima è molto teso, imperversa una furibonda campagna elettorale che contrappone brutalmente le due fazioni in una disputa senza esclusione di colpi. Bob è davvero convinto che la sua presenza sul palco possa stemperare la tensione e permettere a lui stesso di regalare a tutti una giornata di unità e di festa, ma in quella situazione basta davvero poco per rovinare tutto. E così pare accadere. I manifesti di presentazione dell’evento, redatti a sua insaputa, fanno precipitare improvvisamente le cose: “Concerto presentato da Bob Marley in associazione con il Dipartimento Culturale del Governo della Giamaica”. Quella dicitura suona chiaramente come un appoggio del musicista al governo in carica.

Non era questa l’intenzione, ma probabilmente sarà questo il motivo scatenante dei fatti del 3 Dicembre. Due giorni prima del concerto, approfittando del buio, alcuni uomini armati fanno irruzione in casa di Marley, e armi alla mano, fanno fuoco su tutti. La moglie di Bob, Rita, viene ferita e portata in ospedale e lo stesso Bob è colpito da due proiettili al petto, fortunatamente solo di striscio, ma il più grave di tutti è il suo manager Don Taylor. Nonostante le fasciature e le ferite ancora aperte, e il rischio che gli assassini ci possano riprovare, il concerto si farà. A detta dei musicisti della sua band, sarà uno dei migliori di sempre. Erano previste 5 mila persone, si parla di 90mila. Intanto la notizia dell’attentato si era diffusa e alla domanda di un cronista che chiese a Bob come mai avesse comunque deciso di presentarsi sul palco, rispose: “Le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si prendono un giorno libero, come potrei farlo io?”.

Tuttavia quell’episodio segna molto il musicista giamaicano che decide di lasciare la sua terra, ma non prima di scrivere la canzone “Ambush in the Night” in ricordo di quella notte. Fa un tour lunghissimo, toccando le città di vari paesi: alla fine si stabilisce a Londra, dove entra in contatto con l’intera popolazione nera immigrata nella capitale inglese, ma soprattutto è qui che scrive e registra l’album Exodus, considerato tra i migliori nella storia della musica, non solo del reggae. A questo punto succede qualcosa di ancora più incredibile. In Giamaica tutti, politici e criminali, vogliono Bob per un altro concerto. Inizialmente rifiuta, ma quando andranno a cercarlo a Londra di persona, garantendo che davvero il volere comune è quello, Bob, che è uomo di pace, amore e unità, accetta. Queste tre parole, pace, amore e unità, daranno il nome ai tre settori in cui il pubblico prenderà posto. A pensarci, succederanno cose incredibili su quel palco. Prima i capi delle bande criminali si danno la mano in pubblico, e poi anche i capi politici, invitati da Marley, guadagneranno il centro del palco per abbracciarsi.

Marley aveva fatto un vero e proprio miracolo. Per quanto bello e carico di speranza però sarà solo un periodo. Negli anni successivi la violenza a Kingston riprenderà. Intanto Bob, sempre più celebrato in tutto il mondo come l’incarnazione del reggae, per motivi religiosi, non cura il male che i medici gli hanno diagnosticato e dopo qualche anno muore. Farà in tempo a passare anche per l’Italia, in un memorabile concerto a San Siro, aperto da Pino Daniele, che vedrà una gioventù colorata e sfiancata dagli anni Settanta raggiungere in ogni modo l’erba di quello stadio, insieme a quel Piero e quella Cinzia descritti da Antonello Venditti nella canzone dedicata a quell’evento speciale.

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