Realtà illustrata | Bologna Children’s Book Fair

parole di Mara Stefanile, foto di Vincenzo Iannone

C’era una volta, tanto tanto tempo fa, nella città Tortellino, una ragazza buffa con una strana cicatrice sul mento. Dicevano che veniva dal mare, parlava un’altra lingua, però sapeva amare. Cercava una fiera fantastica e assai misteriosa, capace di dir storie alla gente più chiusa.

Okay, suppongo di aver reso l’idea.

La scorsa settimana sono stata a Bologna, e un animale curioso l’ho trovato per davvero: la bellissima chimera dalle africane ed esopiche memorie, nata dal lavoro combinato tra il design di Chilab e l’illustrazione di Davide Castellano, scelta per rappresentare l’identità visiva di questa 54° edizione della Bologna Children’s Book Fair.  A testimonianza di quello che è non solo un importante appuntamento internazionale per lo scambio di copyright, bensì un luogo “multiforme, cangiante, dinamico ed eclettico, ricchissimo di contenuti, incontri e racconti”.

La Bologna primaverile è una città chioccia, tiepida e accogliente, molto diversa dalla Bologna estiva che ho conosciuto in occasione di qualche concerto, sorda e un po’ zanzara. Girare per le strade del centro è una gentile conseguenza e viene semplice come nuotare in un’enorme vasca di liquido amniotico.

Dopo qualche bracciata guadagno il mio pied-à-terre in una strada che porta il nome di un profeta ebreo, Isaia. E devo constatare che è piena zeppa di svastiche, croci celtiche e scritte tremolanti,  inneggianti alle solite idiozie in latino ma interrotte di tanto in tanto da qualche exploit mucciniano di pregio del tipo: “A morte le zecche dimmerda!”.

Naturalmente, non posso fare a meno, per quanto mi sforzi di non farlo, di immaginare un Calcutta-Gianburrasca armato di uniposca nero, quale autore di questi messaggi marachella, composti per attirare l’attenzione altrui.

Nei giorni dedicati alla fiera, Bologna si riempie davvero di persone provenienti da tutto il mondo che lavorano nel settore dell’editoria per ragazzi, ma anche insegnanti, educatori, librai, illustratori, e non c’è niente di più bello che vederle cooperare e confrontarsi.

È talmente bello, che quasi mi dimentico che c’è la guerra ovunque, così mentre riposo le gambe tra un padiglione e l’altro, durante il primo giorno di fiera, bliiing! Eccolo che rintocca sinistro il mio smartphone: c’è appena stato un attentato nella metro di San PietroburgoLa tentazione di cedere allo sconforto si impossessa del mio stomaco, eppure, mi dico, non può andare così. Se mi arrendo all’idea della violenza, ovvero della sua normalità, allora abbiamo già perso. Così mi scorcio le maniche, carico i piedi per terra, e rifaccio i padiglioni avanti e indietro, avanti e indietro, per riempire la testa di qualcosa di bello. E se è vero che pensare significa seguire una linea magica, come diceva qualcuno, allora non c’è posto migliore di questo per provarlo.

Per cui vi racconto quello che ho visto, e cosa è stata soprattutto questa Bologna Children’s Book Fair 2017.

Innanzitutto la rappresentanza di un numero di Paesi sempre maggiore, rispetto all’edizione dello scorso anno tra i nuovi paesi presenti in fiera troviamo: Albania, Andorra, Ecuador, Islanda, Costa d’Avorio, Myanmar, Nepal, Pakistan, Perù.

Alle nuove realtà editoriali emergenti è inoltre dedicata una categoria specifica del BolognaRagazzi Award: New Horizons. La sezione raccoglie circa cento opere provenienti da Cile, Indonesia, Libano, Emirati, etc. e ha premiato quest’anno la Colombia con La Mujer de la Guarda, testi di Sara Bertrand e illustrazioni di Alejandra Acosta, per Babel Libros.

Ospiti d’Onore della fiera sono state la Catalogna e le Isole Baleari, un territorio che vanta una tradizione secolare di case editrici specializzate in libri per bambini e ragazzi, che risale addirittura al Quattrocento con le Publicacions de l’Abadia de Montserrat. Nel corso dei secoli questa tradizione si è mantenuta in buona salute, trovando sostanziale nutrimento anche nella qualità dell’illustrazione, che si ritaglia un ruolo di spicco nello scenario mondiale.

Allo scopo di condividere con tutti questa feconda e virtuosa realtà l’Institut Ramon Llull ha organizzato la mostra Sharing a Future: Books in Catalan, curata da Paula Jarrin, che ha ospitato ben 42 illustratori provenienti dalla Catalogna, le Isole Baleari e Valencia.

A proposito di Illustrazione, la Mostra degli Illustratori  rappresenta certamente una delle punte di diamante della Fiera di Bologna. Nata nel 1967, la Mostra lo scorso anno ha compiuto 50 anni, e la nuova edizione sarà in giro per il mondo con tappe in Giappone, Stati Uniti, Taiwan e Cina.

Quest’anno per la prima volta, la Mostra viene presentata al pubblico in originale, con cinque tavole per ognuno dei 75 illustratori selezionati e provenienti da circa 26 paesi diversi.

Dal 2009 Bologna Children’s Book Fair e Fundaciòn SM hanno istituito il Premio Internazionale d’Illustrazione rivolto agli artisti under 35 già selezionati per la Mostra, che prevede un compenso di 30 mila dollari, volto a sostenere in un anno la creazione di un albo da lanciare sul mercato mondiale,  proprio con le edizioni SM. Le tavole originali del libro verranno poi presentate in una personale dedicata durante prossima edizione della fiera, quest’anno ad esempio, si è potuto ammirare il lavoro del vincitore 2016, il messicano Juan Palomino, con le opere del libro Antes del primer dìa, mentre il vincitore 2017 è lo spagnolo Manuel Marsol.

Illustrazione di Manuel Marsol

Oltre alla Mostra, c’è poi l’altrettanto celebre Muro, una parete libera che durante i giorni di fiera viene riempito da artwork, biglietti da visita, proposte, così da diventare una vetrina illustrata da cui spesso nascono incontri e occasioni professionali. Per questa edizione della Fiera nasce anche The Illustrators Survival Corner, pensato come luogo di confronto e crescita tra giovani esordienti e professionisti, con ricchi appuntamenti giornalieri, tra masterclass, incontri con artisti internazionali, e portfolio reviews.

Bene, eccoci giunti al momento in cui vi annoierò.

La storia dell’illustrazione è la storia stessa della scrittura e del libro. Gli egizi disegnavano immagini religiose sui papiri, in età romana si disegnava su rotoli di pergamena fatti con pellame conciato; fino al medioevo, quando l’invenzione del codice, cioè del libro rilegato, facilitò la lettura e aprì nuovi orizzonti tecnici con la miniatura. Con la secolarizzazione questa tecnica, dapprima utilizzata solo all’interno dei monasteri a beneficio dei testi sacri, cominciò ad essere adoperata anche all’interno di erbari, carte da gioco e opere scolastiche. Sarà poi l’introduzione della carta, che arrivò in Europa dalla Cina, grazie agli arabi, nel XI secolo, e della stampa nel XV secolo, a permettere un abbassamento dei costi, un ampliamento del mercato del libro e lo sviluppo di nuove tecniche, quali la xilografia e l’incisione su rame. Durante il XVI secolo uso dell’illustrazione furoreggiava tanto nei testi religiosi (le cosiddette Bibbie dei poveri), quanto in quelli destinati ad un mercato privato, per poi conoscere un momento di declino nei secoli successivi. Nel Seicento le prime gazzette utilizzavano illustrazioni a stampa per un pubblico solitamente adulto. Sarà nell’Ottocento, con il romanticismo, che l’illustrazione trovò nuovo slancio, sia nei libri per gli adulti che per l’infanzia. Di qui è una cascata costante di invenzioni e tecniche raffinate, dallo stile vittoriano inglese, alla fotografia, passando per l’applicazione in campo pubblicitario con il manifesto illustrato, fino alle più contemporanee tecniche digitali.

Primi vagiti illustrativi in epoca egizia

Questo breve bignami sull’evoluzione dell’illustrazione in un legame siamese con la scrittura, presta il fianco per fare alcune considerazioni. Anzitutto la doppia autorialità, quella dell’illustrazione e quella della scrittura (non necessariamente interpretata da due persone diverse), che funzionano indipendentemente, ciascuna con le proprie forme e la propria metrica. Queste autorialità tuttavia, si sommano, producendo più strati narrativi, i quali probabilmente generano tempi diversi, contemporaneamente, all’interno stesso del linguaggio, inteso come possibilità stessa di scrittura e illustrazione, cioè della nostra stessa facoltà cognitiva ed emotiva. Come fosse una provetta da laboratorio, con gli elementi più pesanti che vanno giù a fondo, e quelli più leggeri che galleggiano in superficie.

Questo aspetto mi fa pensare all’artigianalità stessa del pensiero umano e del linguaggio, non solo in forma di scrittura o illustrazione, ma complessivamente, nella sua funzione, quindi anche alle sue prospettive di riproduzione. E credo che questa qualità del linguaggio trovi una sua buona esemplificazione visiva proprio nella letteratura per l’infanzia.

La seconda considerazione riguarda le possibilità del digitale e della realtà aumentata, che più che una considerazione è una domanda aperta: quali possono essere le modalità in cui questa esperienza possa arricchire l’artigianalità del linguaggio di cui parlavo prima, senza ridurne la profondità e la pluralità dell’esperienza cognitiva ed emotiva. Questa è una domanda che mi pongo senza l’ombra di una pedanteria orto-luddista, ma soprattutto a valle di un’osservazione fatta direttamente, su alcuni bambini tra i 7 e i 10 anni, durante la mia attività di doposcuola (che tutti sanno essere un prestigioso laboratorio scientifico). Tra questi bambini, ho potuto notare che quelli che avevano un’esposizione importante, o poco mediata da un adulto, a contenuti digitali o di app che utilizzano la realtà aumentata (per tacere dell’uso dei social network), una forte difficoltà, nella lettura di un testo fantastico, a distinguere tra realtà ed elemento di fantasia, tra il sé reale e il sé virtuale. Naturalmente questa è solo la mia esperienza.

Vedremo come andrà a finire.

Ritornando alla Fiera, il mondo del digitale è rappresentato con due premi il Digital Award, vinto da due app, una francese: Oh! una americana, sviluppata da Google: Toontastic 3D, e un premio dedicato alla realtà aumentata, vinto dalla Danimarca con Mur, una forma ibrida tra app e libro.

Gli altri vincitori degli Awards della Fiera sono, per la categoria Fiction, A Child of Books, di Oliver Jeffers e Sam Winston, per Walker Books Ltd, Inghilterra. Un libro che unisce tipografia e disegno a mano libera per esplorare e celebrare la ricchissima storia dei libri per bambini e il potere delle storie. Per la categoria Non Fiction, The Wolves of Currumpaw, di William Grill, per Flying Eye Books, Inghilterra, che riprende invece un tema classico della narrativa americana, ambientato negli sconfinati spazi aperti del Nuovo Messico e nella New York in rapida espansione della fine del XIX secolo. Infine, per la categoria Opera Prima, ancora l’Inghilterra con The Museum of Me, di Emma Lewis, per Tate Publishing. Un libro che oltre a esplorare un’idea più tradizionale di museo,  induce a considerare il sé, come un luogo pieno di cose interessanti, stimolando i lettori a guardarsi intorno, e prestare attenzione a quello che gli oggetti raccontano della loro storia.

Ma veniamo ad una panoramica generale sui temi più caldi tra le novità italiane. Sicuramente scalano la classifica i lavori sulla parità e l’identità di genere, sulle donne nella scienza, e in generale biografie di grandi donne. Tra questi un libro che ha fatto parlare molto di sè Storie della buonanotte per bambine ribelli, di Elena Favilli e Francesca Cavallo, per Mondadori, per raccontare con piccole storie cento donne di oggi e di ieri che hanno sfidato le convenzioni e realizzato i loro sogni.

C’è poi Una stanza tutta per me, con una Virginia Wolf alle prese con un ragno e la conquista della sua libertà d’espressione, in prossima uscita per Settenove, una piccola casa editrice che si distingue per l’attenzione alle tematiche relative alle questioni di genere. Editoriale Scienza pubblica con la firma di Chiara Carminati la storia di una delle più grandi oceanografe mondiali, La signora degli abissi, Sylvia Earle si racconta, nella loro bellissima collana Donne nella scienza.

Tantissimi anche i libri che affrontano il tema della famiglia plurale.

In Un amore di famiglia di Jerome Ruiller, edito da La Margherita Edizioni, si ripercorre l’immaginario di Piccolo blu e piccolo giallo, di Leo Lionni, si parla di una storia d’amore e della sua fine, ma anche dell’inizio di una nuova vita possibile, della nascita di tante famiglie nuove intrecciate ed allargate.

Sul tema delle migrazioni contemporanee a distinguersi sono gli stranieri, tra cui il francese Planète Migrants di Sophie Lamoreux e Amèlie Fontaine, un complesso libro di divulgazione in cui il fenomeno delle migrazioni viene ricollocato in un lungo andirivieni di popoli che ha caratterizzato la storia dell’umanità, con un taglio analitico e interrogativo sui numeri eclatanti, le molteplici motivazioni, e le domande che ne conseguono.

Ci sarebbe da fare un intero abecedario, tra i libri dedicati agli animali, all’arte e all’ecologia, ma mi fermo qui.

Per ora basta andare a dormire sereni, con buone notizie da parte del rapporto sullo stato dell’editoria in Italia nel 2016, a cura dell’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE), che evidenzia un ritorno, per quanto contenuto, ai segni più.

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