Il romanticismo it-pop di Brilla

Avrà anche iniziato Sottovoce, come chiamò la sua prima canzone, ma ben presto ha capito che quella fame di raccontarsi e raccontare il mondo andava oltre le quattro pareti della sua casa di Firenze. L’ha portata con sé in Liguria, quando a 15 anni Brilla, nella vita anche Andrea, si è trasferito a San Bartolomeo al mare e l’ha farcita del resto, di sintonia con la natura e con il mondo, scoprendo la sua vena per l’agricoltura e l’attitudine per l’aspetto bucolico della vita. E in ogni passo l’ha perfezionata fino a compattare la sua vena cantautoriale in La Tuta di Goldrake.

Non un disco, ma una giostra al contrario, come lo definisce l’autore, in cui si parte dalle difficoltà del mondo adulto in Non siamo vergini per tornare alle Ferite dell’adolescenza. E a fare da ingranaggio principale un’intensa fame di musica italiana, dalla Toscana alla Liguria sin dai tempi di Lucio Dalla e di Lucio Battisti. Un viaggio che nasce da lontano, ben prima del suo debut Ep del 2016 prodotto da Giuliano Dottori (Amor Fou con il featuring con Verano – già Officina della Camomilla), ma che oggi è riuscito a raggiungere – come una tappa imprevista ma improvvisamente consapevole – un momento storico musicale in cui soprattutto l’Italia sta riscoprendo le proprie radici.

È romanticismo quello di Brilla, che prende forma nel suo primo LP pubblicato per Pioggia Rossa dischi/Dischi Soviet (edizioni Metatron) con pieghe un po’ nostalgiche e malinconiche. Con lo sguardo alle difficoltà di oggi, tra pressioni, obiettivi e ambizioni troppo spesso costruiti a tavolino. Ma con la mente persa nella musica italiana, quella di 40 anni fa in cui si trovava il senso di molto.

Sono i testi a far da padroni, quelli autobiografici e non, delle nove tracce. Con l’assaggio dei singoli Gennaio e Quel Senso di sete. Quest’ultima è un’ode a una donna, oramai andata via, in cui non è difficile scorgere la spontaneità, la giovinezza e la leggerezza che si perdono nel tempo. «Hai mescolato in quattro ore le miei ragioni, come un’havana e cola. Mi specchio in un lento, ballato male, sei stata reale o una finzione, due passi sbagliati ed un bicchiere, rimane quel senso di sete».

E c’è l’amore ma anche la paura di non essere abbastanza per se stessi nel disco, e sembra come se fossimo alla finestra a sbirciare nella vita di uomo che cresce. Sin da L’ansia e l’università, quando «rapito dalla tensione sbagliavo tutte le note». Perchè non le note, sono da sempre state le parole a muovere Brilla e la sua voglia di dare colori al mondo. La chitarra è arrivata dopo, come una cornice su un quadro incompleto in cui dipinge le città incontrate, le persone conosciute, le difficoltà superate, le battaglie combattute e non sempre vinte. Usando la Tuta di Goldrake come un mantello protettivo.

«Serve ad andarmene oltre e a rimanere presente, dialogo respiro e chiedo al dubbio di starmi vicino», canta nella title-track.

Un mantello che per la sua vena cantautorale pop riesce nell’intento di sventolare su un filone che non risparmia gli ascolti di nessuno. Anche dello stesso Brilla che non nega di spaziare nelle playlist di ieri ma anche di oggi di cui si sentono nette le influenze it-pop. Ma lasciandosi anche influenzare da artisti come The War On Drugs. Quelle giuste atmosfere che si prepara a portare nei locali liguri, prima, e italiani dopo. Lui, con una chitarra semi-acustica amplificata, live, e la band al completo con Enea alla batteria e Flavianio al basso. Senza smania di successo ma solo per dare voce a quel che ha dentro.

Perché «non me ne frega un cazzo», come canta in A merenda un pugno di chiodi. E non ha paura di farne una critica sociale prendendo di mira le emozioni in tv, le code italiane e la difficoltà di dover essere ciò che gli altri chiedono. «Preferisco i miei calzari i miei modi popolari/Dalla merda nasce il fiore solo quando riesce a uscire il sole (…) Non ambisco alla droga, e nemmeno a una gioia».

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