Dentro e fuori il Carapace | Intervista a Lisa Ginzburg

Un rifugio sacro, un peso ingente da dividere sempre in due. Il carapace protegge e rende vulnerabili, isola e logora lentamente. Cara pace (Ponte alle Grazie, 2020) di Lisa Ginzburg è, prima di tutto, una storia di abbandono, di assenza. La continua ricerca di una pace stabile e resistente accompagna la difficoltà di Maddalena, voce narrante del romanzo, a muoversi fuori dal suo carapace, in un mondo ostile e sconosciuto. Maddalena riannoda i fili della propria esistenza, in un continuo passaggio tra passato e presente. Al centro della sua narrazione, oltre che della sua vita, resta Nina. La sorella estroversa, bella e ambiziosa, un magnete per Maddalena e per chi le sta attorno. Tra le due si sviluppa un rapporto simbiotico, che resiste nonostante la lontananza e i tumulti familiari.

La famiglia è un continuo vento di tempesta. La madre Gloria, affascinante donna argentina, un vero e proprio paradigma di libertà, è insofferente al matrimonio e si innamora ben presto di Marcos, suo conterraneo. Il padre delle due bambine, Seba, è invece un fotografo che viaggia molto per lavoro e decide per questo motivo di acquistare una casa sulle pendici del quartiere di Monteverde dove far vivere le figlie in sua assenza. Assenza colmata solo parzialmente da Mylène, un modello positivo in un mondo di adulti insoddisfatti, incostanti nei sentimenti. Assenti.

Cara pace, proposto da Nadia Terranova, è entrato nella dozzina del Premio Strega 2021. L’autrice Lisa Ginzburg ha fatto parte della dozzina già nel 2002, con Desiderava la bufera (Feltrinelli). Ha pubblicato inoltre Colpi d’ala (Feltrinelli, 2006) e Per amore (Marsilio, 2016). Collabora con Avvenire e Il Foglio, a cui affianca l’attività di traduttrice.


Come nasce e si sviluppa questo romanzo? Da dove nasce il titolo?

Il romanzo nasce da una situazione difficile, di allarme. Prima nella mia mente hanno preso forma le due sorelle, poi pian piano i genitori, un padre e una madre instabili. Sentivo la necessità di raccontare un punto di vista particolare: uno sguardo infantile che osserva dal basso il mondo degli adulti e lo considera assurdo. Il titolo è un’aspirazione, prima pensavo alla forma unita “Carapace”, poi ho provato a spezzare la parola e in questa scissione ho trovato una verità. La pace a cui allude il titolo è una condizione difficile, che si conquista solo da adulti. Prima c’è l’infanzia, questa corazza protettiva in cui è facile vivere, solo in un secondo momento ho pensato di dividere la parola, di spezzare quest’ultimo rifugio e guardare cosa ci fosse dentro.

Il dolore condiviso rafforza il rapporto tra le due sorelle, che reagiscono in maniera diversa, ma si muovono compatte come un unico corpo. Due, come Acciaio, La solitudine dei numeri primi, L’amica geniale. Due è il numero del nuovo romanzo di formazione?

È una riflessione interessante, specie se messa in relazione alla recente esperienza della pandemia. Penso che da questo trauma della chiusura ognuno di noi abbia sviluppato l’idea che non possiamo fare a meno degli altri. Nel mio romanzo è evidente come la figura della sorella/complice potenzi e rassicuri quella della protagonista, ma questo vale anche per la vita reale, oltre la letteratura. Il Doppio si sviluppa sempre come un corpo unico, penso ai verbi declinati al duale in greco. Più che doppio, si tratta di un duale. Due rinforzano, laddove il singolo non riesce ad affermarsi da solo. E se da un lato potenzia, dall’altro il dualismo toglie la libertà. In questo rapporto di forza risiede l’ambiguità del Doppio.

Gloria, la madre delle due sorelle, decide di lasciare la casa. Il marito, le figlie, una vita in cui non si riconosce mai davvero. La solitudine e lo sradicamento sembrano condizioni innate in questo personaggio insoddisfatto, ma il marito la trascura, la routine quotidiana la appiattisce. Basta questo per giustificare il distacco dalle figlie?

Gloria non va giudicata moralmente. Si trova in una condizione di inferiorità, ha origini straniere. Anzi la considero un personaggio coraggioso, Gloria ha l’onestà di raccontare alle figlie ormai grandi che in quella situazione familiare non sarebbe potuta restare a lungo. Conquista la fiducia delle figlie con la sua sincerità. E poi Gloria è una donna luminosa, cerca e conosce l’amore e vuole trasmetterlo agli altri. Certamente nel caso di Nina si tratta di una fiducia venata di risentimento, ma credo che non fosse facile conquistare il cuore delle figlie dopo quanto accaduto e questa madre, Gloria, ci è riuscita.

“I vuoti delle assenze, le case lontane dei nostri genitori sempre nei pensieri. Mancanze tangibili, concrete, che colmare era impossibile e giustificare difficile. Eppure grazie a Mylène e a quell’allenamento sportivo di cui giorno dopo giorno andavano crescendo i benefici, ecco un nostro ritmo lo avevamo trovato. Il caos era alle spalle.”

La famiglia, percepita come un sistema forzato, una mera istituzione sociale, non regge più. I suoi meccanismi scricchiolano, i suoi difetti emergono con forza. Dagli anni Duemila in poi si è acutizzato il distacco tra genitori e figli, tra i due membri della coppia; i romanzi di formazione contemporanei raccontano realtà sempre più individualistiche e persone sempre meno disposte alla condivisione. Gloria e suo marito non sono mai stati una famiglia forse, ma cosa resta della famiglia oggi?

Il carapace della famiglia, che ha subito a lungo colpi bruschi provenienti dall’esterno, movimenti di assestamento e tumulti interni, oggi si sta spezzando. I nuclei scoppiano, non necessariamente perché le coppie divorziano ma nel senso che si aprono al mondo. Cara pace è quasi uno specchio di questa transizione, racconta una famiglia disastrata, una situazione ammalata che non trova cura. Ci troviamo oggi di fronte a una nuova visione della famiglia. La famiglia sta fuori e dentro di noi, nelle relazioni più semplici e in quelle più profonde, nell’idea stessa della condivisione. È qualcosa di più istintivo, e soprattutto interiore, meno vincolato alle strutture.

L’andamento binario del romanzo segue una struttura ad elastico. Il tema del Doppio è sviluppato in un continuo alternarsi di presente, avvertito come spazio della precarietà e degli sbalzi d’umore, e passato, tempo della memoria. La memoria vista come una sostanza infiammabile, silente e minacciosa. È più una maledizione o uno strumento di assoluzione la memoria per Maddalena?

Non credo si possa parlare di maledizione, ma neanche di assoluzione. Io vedo più comprensione, un’accettazione in fondo. La constatazione che le cose sono andate in questo modo. La memoria si nutre della storia di Maddalena e può intedersi come un modo di raccontare il passato, di vedere come sono andate le cose e perchè. Cara pace è una pace che a sua volta significa sciogliere, lasciar correre il filo nel vento. Prima di questo passaggio, è stato necessario tenere stretto quel filo.

I luoghi. Anche qui ritroviamo un andamento binario. Parigi, rifugio dai turbamenti del passato, Roma, un’esplosione di emozioni, di sentimenti fortissimi. Secondo Lei, questo dualismo riflette una condizione universale? Ognuno di noi ripone particolari affetti in luoghi diversi fino a creare un bipolarismo inestricabile?

Credo si tratti di una lieve forma di dissociazione positiva. È come se si delineassero identità diverse da poter associare ogni volta a un luogo diverso. A ogni identità coincide una temperatura emotiva diversa. Io ho viaggiato molto e questo mi ha permesso di provare sulla mia pelle questa diversa temperatura: ogni luogo ha un preciso impatto emotivo su di noi e ciò si manifesta attraverso una differenza principale tra luoghi più caldi e altri più freddi. Roma è un luogo del passato, con i suoi monumenti e le sue idealizzazioni. Un archivio di memoria. Parigi è il teatro della mia quotidianità.

“Recuperare, rimediare: di questo si trattava. Riprendere quanto ci era stato rubato. Eravamo una sola cosa, Gloria, Nina e io. Compatte: somma di un’addizione naturale.”

Cara pace è uscito a settembre 2020 ed è stato scritto prima della pandemia. Come ha vissuto la prima e più traumatica chiusura, da scrittrice, considerando che molti autori non sono riusciti a prendere la penna in mano, Lei è riuscita a trovare l’oro nel buio pesto di quei giorni?

Non sono riuscita a scrivere, ho fatto altro. Anzi a dire la verità ho composto pagine di diario, cosa che non facevo da molti anni. A quest’attività affiancavo il lavoro di traduzione. Ho letto molto, ho tradotto, ma credo fosse veramente difficile scrivere in quel momento. Ho paura di quelli che hanno creato troppo in quel periodo.

Se le dico Premio Strega, qual è il suo primo pensiero? Il primo autore, la prima opera a cui pensa e perché?

Ricordo molto bene l’edizione del 2002, l’anno in cui entrai per la prima volta nella dozzina. Mi sembra di percepire ancora quell’emozione, quelle sensazioni. E quindi dico: Non ti muovere di Margaret Mazzantini, l’opera che trionfò quell’anno.

Che progetti ha per il futuro?

Sto lavorando a una biografia di Jeanne Moreau, che verrà pubblicata da Perrone. Inoltre, sto pensando a un nuovo romanzo, ma ovviamente è ancora presto per parlarne.

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