La voce di Cat Power

A cinquant’anni Cat Power ha ancora quella voce rauca e dolce che pare caduta sulla terra come un angelo maledetto. Basta ascoltare un po’ il nuovo album Covers per lasciarsi catturare da quella voce così distintiva, capace di trascinare in un mondo fatto di ovatta e liquore. Dodici canzoni che sono dodici stilettate al cuore.

In una recente intervista a Rolling Stone, Chan Marshall ha offerto una riflessione sulla vocazione delle canzoni come opere da tramandare, dalla musica classica al blues reinterpretare le canzoni è stata anche l’arte di trasmettere le tradizioni musicali da una generazione all’altra; così per esempio potevamo tramandarci i primi vecchi canti americani o l’esecuzione di uno spartito musicale. Cat Power ammette di voler recuperare quella tradizione, e non è certo la prima volta che la cantante americana si misura con la tradizione della cover e la fa diventare un’arte. The Cover Records del 2001, e Jukebox del 2008, registrato insieme alla Dirty Delta Blues Band (un nome che riporta al Delta del blues), raccoglievano canzoni di Bob Dylan, Lou Reed, Rolling Stones, Bill Callahan, o ancora la celebre New York, che Cat riesce a piegare alla sua voce fino a farne uscire una versione tutta personale. Perché è così che Chan reintepreta le canzoni: le piega, le riadatta alla sua voce, finché non ne viene fuori qualcosa di unico, proprio come riusciva in passato a gente come Nina Simone o ai grandi interpreti del blues e del folk. Questa vocazione da cantante pura torna nel nuovo album Covers.

Copertina The Covers Record, 2000

Cat Power usa la voce come uno strumento, proprio come un musicista parla con la sua chitarra o il suo assolo di batteria. Sin dal suo esordio nei Novanta la voce di Cat Power è riuscita a rievocare quei segreti atti di magia dei primi bluesman e blueswoman, la capacità di cacciare via i diavoli dal corpo con la voce e contemporaneamente creare un’atmosfera speciale. A quei tempi Chan era ancora un’eroina minore della prima vera generazione indie, quella che si armava della chitarra e componeva pezzi, già agitata da una passione per vecchie canzoni di Hank Williams o Bob Dylan, ma tesa lo stesso alla ricerca di una dimensione personale, che esplose meravigliosamente nell’album della consacrazione, Moon Pix. Ma oltre a una originalissima cantautrice, Cat Power ha sempre saputo essere anche una magnifica interprete, ci ha sempre sedotto con le sue reinterpretazioni. E chissà se è un caso che nelle scorse settimane altri due eroi della generazione perduta indie come Bill Callahan e Will Oldham, abbiano rilasciato un disco di cover, Blind Date Party, come se quella parte di gente emersa nei Novanta sentisse il bisogno di cantare e reinterpretare il passato.

Covers il passato lo reinterpreta, ma è pure un’iniezione a fondo dove Cat Power manipola e sporca canzoni di Frank Ocean, Replacements, Billie Holiday, fino a renderle sue. In fondo se Covers fosse stato un disco di semplici cover perfette come si sentono cantare nei programmi tv, non sarebbe venuto fuori nulla di speciale. Cat Power invece sventra e possiede le canzoni. Così succede nella sua These Days intimista, che mentre tende alla versione di Nico pare pure allontanarne il fantasma; Bad Religion di Ocean acquisisce tutto un altro respiro, e nella ricerca delle atmosfere dark di I Had a Dream Joe di Nick Cave, la musica e la tensione procedono a un ritmo minimale. Non sono tantissime le voci capaci di creare un’atmosfera, una bambagia bianca e calda, e Cat Power sembra volerci ribadire come una delle poche in grado di riuscirci oggi sia Lana Del Rey, non a caso presente nella raccolta di cover con White Mustang. Ma è la voce di Chan la grande protagonista di tutto il disco, voce che nell’ultimo pezzo, I’ll Be Seeing You, diventa un letale commiato. Covers è un disco fatto dall’istinto dell’immenso e misterioso talento di Cat Power, che voleva essere la più grande e in fondo ci è riuscita.


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