La pericolosa arte del fare film (fossero anche orrendi) nel ventunesimo

Quello che c’è stato di bello ed interessante nella primavera araba è stato vedere un sacco di persone insieme per affermare le proprie libertà. Che fossero ”aiutate” o meno da una mano invisibile è indifferente: a loro non andava bene la dittatura, e in certe occasioni non pensi alle conseguenze – agisci e basta. L’urgenza della libertà è un motore meraviglioso, scuoterebbe chiunque in particolari momenti della vita e della storia, l’importante è accendere la scintilla e assecondarla. Ed eccoli, uomini e donne insieme lottare per chiedere dei diritti, ansimare la parola libertà nelle strade. [Sta accadendo anche in Siria]

E in certi casi ottenere la libertà è un processo violento, sanguinario. Non è come blaterare su un foglio quattro parole sulla bellezza della libertà, non è come leggere uno di quei trattati sulla libertà seduti davanti a un camino. E’ una cosa che riguarda i mitra, il sangue, e l’unica cosa che si scrive sono probabilmente lettere d’amore di corsa e di addio, bigliettini da consegnare velocemente agli amici e ai parenti; l’unica cosa che si legge sono pizzini su cui è segnata una strategia di lotta da decifrare. Perciò la libertà è una pratica quotidiana.

Se voi volete ottenere la libertà di amare una persona X è abbastanza semplice: vi basterà amarla. Questo in alcuni paesi del mondo non è possibile. E stiamo parlando anche della versione più semplice dell’amore, quello eterosessuale tra persone della stessa razza e fede. Senza fare generalizzazioni, spesso la cultura, le religioni, le dittature, possono essere delle prigioni: lo è stato il fascismo ed è per questo che è stato malsopportato, con la sua pretesa di trasmettere soltanto le proprie frequenze radio.

In questi giorni in cui le ambasciate americane sono prese d’assalto dalle proteste torna in mente una considerazione dello scrittore Ian Burama: ”il tragico paradosso vuole che le dittature minimizzino queste situazioni, mentre l’attuale situazione politica lascia spazio libero sia ai democratici che ai fanatici”. E’ il tragico paradosso della libertà: non possiamo impedire a nessuno di esprimere il proprio pensiero, o la propria idea, e allora perchè dovremmo impedire le proteste dei fanatici? Se andiamo avanti di questo passo ci perdiamo, quindi bisogna fissare qualche paletto: vietare a qualcuno di produrre un film non è la risposta, anche se questo film fosse il peggiore della storia e aizzasse gruppi di filoestetici a una protesta per la salvaguardia del cinema. Ce n’è voluto di tempo per assicurarci il diritto di dire stronzate, e ci siamo pure assicurati il diritto di non sentirle quelle stronzate. Ma è questa la libertà, più o meno.

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