Che fine ha fatto l’uomo in rivolta di Camus?

Diceva Albert Camus ”Un uomo in rivolta è un uomo che dice no”, ma la rivolta era in Camus una categoria dello spirito, un rifiuto morale. ”Mi rivolto dunque sono” come ribaltamento e corredo al blando cogito ergo sum cartesiano: non è il puro atto del pensiero ad affermare la mia esistenza, ma la rivolta e il rifiuto. Quello che mi caratterizza come essere umano è il contro-pensiero, la critica. Sarebbe bello vivere in un mondo dove le persone non difendono a spada tratta la propria tribù e i propri interessi a prescindere, ma sono aperte alla critica interna. Un mondo che fa auto-critica è un mondo in rivolta, meglio ancora se dopo la fase di auto-critica scopre anche il coraggio di ripensare i propri errori e correggerli. Mantenere viva la propria quotidiana rivolta a volte può voler dire riscoprire il silenzio, che è anche un’occasione di pensiero e critica. Ogni pensiero a caldo è una sorta di pregiudizio sul mondo che ci circonda, ed è su quello che si giocano le emozioni popolari, gli istinti peggiori e i populismi e le retoriche più o meno politiche.

Ancora una volta, sull’Expo, i No-Expo, Milano a ferro e fuoco, i milanesi che, prima di ammazzare il sabato, s’ammazzano al venerdì, abbiamo perduto l’occasione del silenzio e della critica. La misura effimera del ”successo” oggi è perfettamente calcolabile grazie a Facebook, diventando un algoritmo matematico che regola la direzione dei like. E intanto muore la profondità intorno a noi. E ancora l’autentico uomo in rivolta di Camus è solo un vecchio ricordo del Novecento, che può tornare vivo se vogliamo.

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