Ci piacciono gli endorsement

  Nel giornalismo americano l’endorsement è l’appoggio chiaro e motivato ad un candidato durante le elezioni, per esempio il New Yorker lo ha fatto nei giorni scorsi con Barack Obama; è una cosa che ancora non è chiara in Italia, e che scatenerebbe sterili polemiche, come successe all’epoca in cui Paolo Mieli decise di supportare il centro-sinistra sul Corriere della Sera nel 2006. Eppure pare ovvio che una rivista, un quotidiano, e tutta quella serie di media che contribuiscono ad animare un dibattito abbiano anche delle idee e dei discorsi che tentano di portare avanti, quindi parteggino bene o male per un pensiero: ah certo, possono farlo in maniera velata e soffusa, semplicemente scegliendo cosa pubblicare, che notizie mettere in evidenza, o sottintendendo la propria opinione anche dentro un pezzo di pura cronaca. Tuttavia, nonostante gli stratagemmi, verrà sempre fuori un’angolatura precisa del problema che stiamo affrontando, e l’ideale imparzialità resterà sempre e soltanto vaga. E’ l’annosa questione del giornalismo: tutti fanno voto di imparzialità, ma in che modo ogni parola riesce sul serio a soddisfare questa pretesa? Quando scegliamo una notizia stiamo già prendendo parte, è inutile nasconderci dietro i piccoli qualunquismi dell’è-semplicemente-una-notizia, esprimiamo già un sostegno o una condanna, inquadriamo un aspetto, che sia poi di una campagna elettorale (nel caso del giornalismo politico classico) o un genere musicale (nel caso di una rivista di musica) o un parere su un libro, le parole non possono essere mai totalmente depurate dalle opinioni di chi sta scrivendo, a meno che non siamo l’Ansa: ovvero riportiamo qualunque cosa e la presentiamo in tre righe (cosa che neanche riesce ad assicurare una certa indifferenza).

Ovviamente, non sempre all’interno di una redazione (fissa o mobile, reale o digitale) c’è un accordo a tutto campo tra i redattori, ma è anche per questa ragione che esistono le firme. Basti pensare come a volte su uno stesso giornale riescono ad animarsi dei dibattiti su uno stesso problema da due punti di vista differenti: in effetti, è un po’ l’aspirazione di fondo riuscire ad inquadrare un problema in questo modo e stile, in modo da garantire spazio alla testa di chi legge di crearsi un’opinione reale e libera. Come coniugare quindi tutto questo con l’endorsement? Con lo spirito che anima un progetto. Per esempio, se siamo sicuri che il nostro debba essere un progetto che tende alla libertà di pensiero, è ovvio che cercheremo di portare avanti un discorso che preservi un certo genere di idee e che sia  a-sostegno di un certo tipo di persone. Il New Yorker, per dire, ha un progetto culturale di fondo: pubblica racconti, fa circolare idee e cultura, e se sostiene Obama è perchè crede che sia Obama ad assicurare meglio l’obiettivo del New Yorker. E’ per questo che l’endorsement ci piace, chiarisce meglio il nostro personale concetto di mondo, e chiarisce meglio agli altri il personale punto di vista su cosa vuol dire una rivista, un quotidiano, e che battaglie cerca di portare avanti.

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