Ci vediamo l’anno prossimo, Vastonbury | Siren Festival

Foto di Francesco Marini

Siamo stati al Siren Festival di Vasto, che seguiamo sin dalla prima edizione come uno dei festival dell’estate italiana più attraenti e interessanti del panorama degli ultimi anni. Vi raccontiamo cosa è successo nei quattro giorni di festival.

Il report e le foto sono a cura di Francesco Marini


DAY 1: L’arrivo

Arriviamo a Vasto in perfetto orario per i live della serata. Troviamo fermento e l’atmosfera di un festival solo quando raggiungiamo l’ingresso del cortile D’Avalos, l’unico stage per la prima giornata del Siren Festival. A inaugurarlo sono i Malihini, duo italiano dalle sonorità dream pop. Il secondo gruppo è Taxiwars, sonorità da jazz sperimentale. Il front-man si dimena in modo ossessivo sul palco, dai movimenti non proprio leggiadri ma capaci di infondere energia al pubblico. Passa metà del tempo ad amplificare (scherzosamente) con il proprio microfono gli strumenti dei propri componenti: una forza della natura. Tutti sono musicisti eccellenti, ma il sassofono nella band è la vera guida. Torniamo a casa con ottime sensazioni.

Malihini, foto di Francesco Marini

DAY 2: dall’avant garde di Jenny Hval alla psichedelia degli Allah-Las

La seconda giornata si apre nella location balneare del Siren Beach. Ad aprire le danze c’è la graziosa Mesa, e Andrea Laszlo de Simone e la sua band di casinari. Poi è la volta di Colombre, il nuovo progetto di Giovanni Imparato. Chiude Maiole che riesce a scatenare il pubblico del Siren Beach con un set di elettronica davvero potente.
Torniamo a Vasto ‘City’ per scoprire la location dei giardini D’Avalos, vero fiore all’occhiello di questo festival. Il posto è davvero incantevole e ascoltare Emidio Clementi (Massimo Volume) e Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) reinterpretare i “Quattro Quartetti” del poeta e critico letterario statunitense T.S. Eliot è davvero piacevole.

Ci spostiamo finalmente nel Main Stage di Piazza del Popolo per ascoltare Jenny Hval, compositrice e scrittrice norvegese. Il suo pop rock con attitudine avant, tra acustico, elettrico e sintetico riesce a stregare il pubblico del Siren piuttosto numeroso per un concerto in programma alle 20:00. E questo è il vero miracolo del Siren.

Jenny Hval, foto di Francesco Marini

Torniamo finalmente nel Cortile D’Avalos per vivere l’esperienza Allah-las, primo vero headliner del festival. Il set si apre con l’ormai celebre Secret Sand e il sound surf della west-coast entra subito nella pelle. Ci troviamo subito davanti a un muro di suoni. La primissima sensazione è quella di essere ospiti in un lembo spazio-temporale rassicurante e nostalgico (nell’accezione migliore del termine) in cui si rievocano quei bellissimi anni della scena psichedelica californiana. Il mood cantilenante si infuoca nel bellissimo assolo acido del pezzo. Il quartetto losangelino si presenta con un set di 45 minuti ricco dei loro successi maggiori di Worship the Sun e Calico Review e il pubblico sembra apprezzare molto ogni beat. Tell Me (What’s On Your Mind) scatena tutti sotto palco. Poi Sandy, Terra Ignota, Strange Heat fino ad arrivare a Vodoo.

C’è qualche innesco nella loro musica in stile garage dei ’60, sia che si tratti di composizione, di strumenti e amplificatori vintage o del loro atteggiamento rilassato sul palco che riesce a darti un senso di rassicurazione. Il caldo scintillio della psichedelia della band è comunque in qualche modo diverso da quello degli anni ’60 e questo dà alla musica un carattere essenziale che produce un senso di desiderio per il tempo dei The Byrds, Animals, Velvet Underground , ma riesce nello stesso tempo a trascinarti in una nuova esperienza aperta al futuro e alla sperimentazione. La tristezza ci assale solo quando i californiani ci salutano con l’ultimo pezzo Catamaran. Prezzo del biglietto del festival già ampiamente ripagato con loro.

Allah-Las, foto di Francesco Marini

Mentre a Porta San Pietro c’è un Giorgio Poi scatenato, a Piazza del Popolo ascoltiamo il fenomeno Ghali, rapper milanese di origini tunisine. Un pubblico di giovanissimi intona le sue canzoni a colpi di selfie. Forse più adatto ad altri festival.

Ci spostiamo di nuovo nel Main Stage per raggiungere i Baustelle. Il colpo d’occhio è notevole e si respira un’attesa smaniosa per il live. La curiosità di ascoltare una delle band più celebrate dell’anno è tanta. La scenografia sul palco è imponente e salta subito all’occhio la disposizione dei synth posti di spalle al pubblico, sicuramente un richiamo ai Kraftwerk (ognuno al suo posto però eh). Il fisico androgino di Francesco Bianconi si presenta sul palco in perfetto orario, ma la vera sorpresa è Rachele Bastreghi, scintillante con una padronanza del palcoscenico davvero notevole. La band apre con Love, Amanda Lear, Il Vangelo di Giovanni fino ad arrivare ai classici Charlie fa surf e La guerra è finita. Bruci la città è il momento più alto dell’esibizione.

Torniamo nel cortile D’Avalos per abbracciare Apparat, stavolta in veste di Dj. Pubblico in delirio e cortile pieno (molta della gente accorsa da Piazza del Popolo purtroppo resterà fuori, non senza polemiche). Fin da subito si nota il feeling con il pubblico del Siren. Il set durerà almeno due ore senza particolari cali di intensità. Vero menestrello dell’elettronica. Chiudiamo questa prima intera giornata di live esausti ma felici.

Apparat, foto di Francesco Marini

DAY 3: Vastonbury incalza con il suo ritmo

Anche questa giornata apre nella location balneare del Siren Beach. Si comincia con il folk di Old Fashioned Lover Boy, poi Pietro Bersalli. Poi è la volta dei Gomma con il loro set in acustico, nemmeno troppo preparato in realtà. Manca dinamicità e si sente, non è bastato sostituire l’elettrica con l’acustica per fare un buon unplugged. (Molto meglio il loro live più tardi a Porta S. Pietro)

Torniamo a Vastonbury e troviamo nella location di Porta S. Pietro dei ragazzini con dei strumenti musicali: pensiamo che sia stata allestita una jamm session per i figli degli addetti ai lavori. Invece sono i The Minis, una band vera e propria. La notizia è che hanno anche un bel tiro. I loro pezzi originali si ascoltano piacevolmente. Molto bella la reinterpretazione di London Calling. Ci spostiamo nell’eden vastese dei Giardini D’Avalos, dove troviamo la graziosa Lucy Rose. La cantautrice inglese incanta i presenti con i brani del suo ultimo album Something’s Changing.

Nel main stage di Piazza del Popolo intanto c’è la scatenatissima Noga Erez. Si impiegano più o meno un paio di minuti per innamorarsi delle movenze della cantante israeliana. Un po’ Gwen Stefani, un po’ M.I.A. tiene il palco per quasi un’ora senza fermarsi. Noisy, Pity, Hold Me tutti i brani che l’hanno consacrata una delle giovani artiste protagoniste della nuova scena elettronica internazionale. Dance While You Shoot è capace di caricare chiunque.

Noga Erez, foto di Francesco Marini

A Porta San Pietro intanto c’è Populous, aka Andrea Mangia. L’artista salentino dopo l’album Night Safari che lo ha consacrato uno degli artisti e producer più interessanti a livello internazionale, si presenta con il fresco album di uscita Azulejos. Lo stage vista mare sembra sia stato cucito apposta per lui. Ogni centimetro del parterre è occupato dal pubblico. La prima fila è quasi on stage, tant’è che Mangia invita un paio di persone dal pubblico a ballare al suo fianco. Cappellino, t-shirt e calzette rigorosamente tirate su, Populous usa il suo mixer come un timone di una barca a vela nell’Atlantico. In ogni brano di Populous c’è sempre una serenità di fondo, questo si nota sopratutto in pezzi come Azulejos. Le sonorità sudamericane fanno da padrone e c’è tanta voglia di ballare. Un’ora di puro godimento.

A Piazza del Popolo intanto c’è Obaro Ejimiwe aka Ghostpoet, cantautore e rapper inglese. Dopo l’acclamato album del 2015, Shedding Skin, torna con il nuovo singolo Immigrant Boogie.

Intanto gli scozzesi Arab Strap riempiono il Cortile D’Avalos. Aprono il live con il solito Stink, arpeggi dolci e testi forti come “Burn these sheets that we’ve just fucked in” ipnotizzando il pubblico del Siren. Un freddo suono di batteria apre Fuking Little Bastards. Tutti i brani accompagnati dallo splendido violino di Jenny Reeve. Il set perde un po’ di intensità con Rocket, Take your turn, Scenary e Don’t ask me to dance. Brani più d’atmosfera. Si riprendono nel finale e chiudono la scaletta con The First Big Weekend, singolo del 1996.

Finalmente è arrivato il momento di Trentemøller nel main stage di Piazza del Popolo. Ad accompagnarlo sul palco la bravissima Marie Fisker alla voce. Pronti a destreggiarsi tra basso, chitarra, batteria e vari synth, la band apre il live con la solita November dall’album Fixion. Poi il capolavoro One Eye Open con la fantastica voce della Fisker che chiede ‘who I really am‘. Un basso caldo apre Never Fade, dove alla voce c’è anche Anders. Con River in me il pubblico inizia a scatenarsi. Fino a Miss You, tra le più famose in assoluto della band, e Moan dall’album The Last Resort. Chiude questo splendido live in questo splendido festival con Take Me Into Your Skin.

DAY 4: La chiusura ed è già nostalgia

Il festival chiude la sua quarta edizione con il live di Jens Lenkman nella Chiesa di Maria Santissima del Carmine. Come per le edizioni precedenti la location e l’acustica del posto ci aiutano a guardare già con nostalgia alle giornate appena passate a Vasto. Un festival a misura d’uomo, con tre palchi molto vicini: un main stage non grandissimo ma accogliente, il Cortile d’Avalos come un grande club, i Giardini D’Avalos per rilassarsi e godersi i vari reading e live acustici, Porta San Pietro e la sua magnifica vista sul mare. Orari svizzeri per i cambi palco. Magari un’area camping collegata meglio all’area festival sarebbe la perfezione. Il Vasto Siren Festival è qualcosa di unico, la location è perfetta e suggestiva, l’organizzazione davvero efficiente. Ci vediamo l’anno prossimo, Vastonbury.

Unica nota negativa è l’aver incontrato un bambino (ma non era il solo) con i famosi arrosticini abruzzesi dentro i cartocci. Per i veri abruzzesi questa è una bestemmia.


 

 

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