Colapesce @Lanificio 25, Napoli

La strada per diventare cantautore è disseminata di spine. Per arrivare a calcare i palchi di Napoli Colapesce ci ha messo un po’ di tempo: prima erano solo le province campane più disparate ad accogliere i suoi live, con Egomostro arriva finalmente anche nel capoluogo di regione, al Lanificio 25, che riapre le sue porte al pubblico per il piacere della Napoli in cerca delle sue direzioni notturne. La formazione che accompagna Lorenzo Urciullo alla chitarra e voce diventa uno schieramento a quattro che si presenta sul palco in giacchetta rosa (richiamando la copertina del nuovo album) e t-shirt bianca, a preannunciare che trattasi di un piccolo show e che il cantautore è cresciuto: niente più t-shirt di Baronciani e jeans scanzonati, ma un’attenzione crescente a una certa estetica da palco da proporre al pubblico in sala. I pezzi, lo avevamo già notato nel disco nuovo, sono sapientemente costruiti intorno a quel modo di cantare di Lorenzo che era riuscito a emozionarci già con Un meraviglioso declino. Meno lo-fi, più costruzione, più strumentazione (peccato che in qualche parte della sala il suono non riesca ad arrivare in alta definizione). Persino i vecchi pezzi di Colapesce sono riarrangiati per l’occasione (una per tutte, S’illumina, che cambia proprio registro).

Cos’è l’Egomostro? Colapesce ci narra questo strano animale tronfio del ventunesimo secolo, ”specialista in autoscatti”. Brezny, Reale, L’altra guancia e l’intimissima Sottocoperta, sono tutti piccoli flash tratti dal nuovo disco che raccontano questa strana umanità in cui siamo invischiati. C’è il tempo anche per una cover dei Fleet Floxes (la bellissima Mykonos), e per uno sprazzo di Toto Cotugno che ripete ”sono un italiano / un italiano vero” in una pantomima del patriottismo su Maledetti Italiani. Un rituale che dalla chitarra acustica si alterna a quella elettrica, e che arriva a un finale in cui il foglio su cui è segnata la scaletta del concerto viene bruciato (un po’ come Hendrix bruciava la chitarra, ma erano altri tempi meno critici).

Cosa resta fisso di questo primo live di Colapesce e band (tra cui il napoletano Alfredo Maddaluno alla batteria) a Napoli? La saudade di una Bogotà che continua a ripetersi placida, la certezza dei vecchi pezzi e la scoperta live dei nuovi brani. L’attitudine di Urciullo diventa sempre più a metà tra quella che tenta di tradurre i sound dall’estero per le orecchie italiane, e quella che pesca nelle vecchie melodie classiche della canzone italiana (in special modo Battisti negli ultimi tempi). Chissà cosa ci riserverà prossisamente.

Foto di Michela Sellitto

Parole: Giovanna Taverni

 

Exit mobile version