Colapesce + Meg: un tour bipolare

25 Gennaio 2013

Teatro Trianon, Napoli


Dovessi scegliere un solo disco italiano di quelli usciti nel 2012, probabilmente sceglierei Un meraviglioso declino di Colapesce, e non penso che sarei l’unico.

Un album fatto di canzoni dai contorni sfumati, testi che raccontano la vita di un trentenne qualsiasi (mica tanto) alle prese con una vita in cui la dolcezza deve essere spesso messa da parte per prendersi con coraggio quello che si vuole: indicativa da questo punto di vista la canzone Bogotà, forse la più bella del disco, canzone dedicata al fratello di Lorenzo Urciullo (questo il vero nome del nostro) che a quanto pare ha deciso di andare a prendersi in Colombia quello che l’Italia non ha saputo dargli. Ascoltatela e ditemi se questa non è una canzone che travalica i confini nazionali per farsi appunto internazionale: per la sua ariosità viene voglia di accostarla a un magico gruppo come i Grizzly Bear, e questo non può che essere un complimento, non certo un’accusa.

Certo quindi non è un caso, o ancor meno un mero colpo di fortuna, che proprio in questi giorni Colapesce sia stato citato nientedimeno che dal prestigioso giornale inglese New Musical Express tra i “5 Awesome Continental Music Acts (That Aren’t Europop)”, e precisamente con queste parole: «Batterie minimali, sintetizzatori fumosi, un cupo pizzicare di chitarra, tutto questo va a sostenere un sussurrato e gentile cantato che ci accoglie in una sognante musica pop. E se non parlate italiano, niente paura: il semplice ascoltare questi testi vi farà sentire più sofisticati»; ecco, la frase finale dà l’idea della bellezza di queste canzoni: questa volta nemmeno uno straniero può/deve fermarsi davanti alla barriera di una lingua che non conosce, se vuole ritenersi un buon ascoltatore.

Fortunatamente, per una volta tanto, qui in Italia non siamo rimasti a guardare: al di là di indianate e hipsterismi vari, anche qui da noi Urciullo ha ottenuto i giusti riconoscimenti, e non è certo solo una questione di marketing dal volto umano fatto di condivisioni e rapporto diretto col pubblico su Facebook, qui le canzoni ci sono proprio, altrimenti non si sarebbe mica arrivati al Premio Tenco.

Ecco, tutta questa premessa per dire che, non me ne voglia il buon Lorenzo, ma chi è andato al Teatro Trianon con l’idea di vedere/sentire un concerto di Colapesce non può che essere rimasto deluso: appunto, questo non è stato un concerto di Colapesce, ma un concerto di Meg e Colapesce, come d’altronde specificato dal comunicato stampa. Tuttavia, sarà che si era a casa di Meg e la maggior parte del pubblico era qui per lei, il concerto è sembrato piuttosto sbilanciato a favore della vocalist napoletana (adeguatamente supportata dalle sonorità di Mario Conte e Alessandro Quintavalle), finendo il cantautore siculo annegato spesso e volentieri (?!) in un mare di elettronica dove la sua voce è andata perduta tra battiti e sintetizzatori, lasciando ben poco della bellezza originaria di canzoni fatte soprattutto di melodia.

Bella l’idea di mettere insieme acustico/elettronico, analogico/digitale, vintage/moderno, onirico/terreno, ma la cosa non è certo così semplice, e d’altronde lo stesso nome del tour – Bipolare – rimanda a un disturbo piuttosto problematico (e in effetti non sono mancati nemmeno degli antipatici problemi tecnici). Dovessi usare una sola parola per definire questo concerto, sarebbe acerbo; e probabilmente gli stessi musicisti si sono resi conto di un concerto non del tutto riuscito: alla fine hanno avuto l’umiltà di riconoscere la loro tensione.

Meglio quindi sarebbe, se si vuole continuare su questa strada, studiare un po’ meglio gli incastri (bella la citazione degli Smashing Pumpkins, e dei Prodigy), ma anche gli scontri (la già citata Bogotà, il Battiato finale), affinché Colapesce, insieme a Meg, possa davvero scrivere una nuova canzone d’autore elettronica, e non “limitarsi” a semplici remix: le capacità ci stanno, come dimostrato d’altronde da un inedito del cantautore supportato dall’elettronica napoletana: appunto una bella canzone, promettente.

Forse neanche la location scelta – seppur bella, insieme alla scenografia del palco – ha aiutato tanto a godersi lo spettacolo, meglio sarebbe stato stare in piedi e lasciarsi andare al ritmo, cosa resa impossibile dalle poltroncine teatrali. Sarà per la prossima volta, se ci sarà.

Lucio Carbonelli

(Foto a cura di Pietro Previti)

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