Come suona il nuovo album degli Spiritualized dal vivo

Non è uno che parla molto, Jason Pierce. Lo capisci dal fatto che non si fa assolutamente problemi a pubblicare i suoi dischi anche a sei anni di distanza, com’è successo con il nuovo album. Solo quando ha qualcosa da dire, per l’appunto. E questo scenario di semplice esigenza artistica ed espressiva, a cui sembriamo sempre meno abituati si rispecchia a pieno nella musica degli Spiritualized, dove ogni dettaglio ha il suo peso e nulla sembra lasciato al caso. Sentirgli dire qualcosa, durante le esibizioni, è cosa rarissima. Lui se ne sta lì, nella sua t-shirt, chino su una delle sue telecaster, con la testa in orbita in chissà quale costellazione lontana a cercare nell’elettricità dei suoi suoni una spiritualità da trasmetterti. E ci riesce, benissimo.

Il tour dell’appena uscito And Nothing Hurts fa tappa al Cabaret Sauvage di Parigi per la terza data. Non si sa dunque ancora benissimo cosa aspettarsi e la curiosità è tanta. Lo spettacolo che la band inglese porta in giro sposa a pieno la filosofia del suo frontman: pochi fronzoli e tanta sostanza per uno spettacolo che si presenta con uno schema ben preciso : un’introduzione che pesca da tutto il repertorio dei nostri, seguita dall’esecuzione integrale del nuovo disco e un encore di tre pezzi. Ce n’è abbastanza per riempire due ore di musica, ma andiamo con ordine.


Jason si presenta con i suoi inseparabili occhiali scuri, si siede al lato del palco, imbraccia una telecaster e inizia a sussurrare Hold On. Siamo già proiettati senza nemmeno accorgercene, in uno scenario psichedelico e onirico che sarà il leitmotiv della prima parte del set. Le luci arancioni sono soffuse e la turbolenta Come Together con le sue schitarrate circolari precede i lampi di luce di Shine a Light. Le melodie sbilenche e orecchiabili tanto care ai nostri vengono onorate dalla delicatezza di Stay with me, canticchiata con rigoroso moto ondulatorio della testa, e dal gospel esaltante della più recente Soul on Fire che ammalia con le sue aperture armoniche. La più sommessa Broken Heart accompagna verso l’esecuzione integrale del nuovo album. Dal taglio decisamente più blues e spiritual, i nuovi brani si susseguono nell’ordine della tracklist del disco e, nonostante io non sia solitamente portato ad apprezzare questo tipo di scelte, mi ritrovo coinvolto dall’esibizione di ogni singolo pezzo.

Agli Spiritualized bastano tre accordi e una melodia semplice e circolare per ipnotizzare, perché la loro musica sta tutta nei suoni, è il modo in cui ti raccontano le loro storie malinconiche che ti avvolge in un’affascinante aura di spiritualità mistica. Tutti cantano estasiati, da Perfect Miracle a Sail on Through, grandi protagoniste sono le voci femminili che fanno da coro alle canzoni, che trasformano un pugno di canzoni blues in una messa laica degna di Harlem. Le atmosfere sanno essere sognanti e retro (Let’s Dance) ma anche rumorose e acide (The Morning After). Per il pubblico I’m your man è già un classico, visto come viene acclamata già dalle prime note. Damaged colpisce dritto al cuore e sembra suonata da un’orchestra intera. La sua coda strumentale appare come un romantico spettacolo pirotecnico, pieno di esplosioni che si levano al cielo. È probabilmente questa l’immagine che meglio cattura le ossessioni di Mr. Spaceman, le sue ossessioni, le deflagrazioni malinconiche e colorate, quel continuo fluttuare nello spazio senza mai avere paura di perdersi.

Finita l’esecuzione integrale del disco c’è ancora tempo per qualche altro brano. I nostri ritornano sul palco, precedentemente abbandonato, e mettono in fila due momenti di alta psichedelica con la splendida So long you pretty thing e con la cover di Oh happy day, preghiera di chiusura di questa intensa cerimonia laica che è il concerto degli Spiritualized. La ripresa di Hold on chiude definitivamente le danze.

Anche stasera lo space rock ha sposato il blues, la psichedelia lo spiritual americano la voce sottile di Jason si è lasciata rincorrere e sopraffare dai timbri spessi delle sue coriste di colore. Le luci della sala si riaccendono e si torna con i piedi a terra. Il viaggio interstellare è momentaneamente finito, sebbene quell’immaginaria tuta da astronauta che per due ore ha sostituito i nostri vestiti ordinari, sia ancora qui ad accompagnarci sulla via di casa.
Non ci resta che conservarla in attesa del prossimo viaggio.

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