Cosa consigliavano Hemingway e altri scrittori sulla scrittura

Il mondo della scrittura è ricco di consigli di grandi romanzieri e scrittori su come scrivere e trovare uno stile: da Kurt Vonnegut a Ernest Hemingway, in tantissimi si sono cimentati a regalare consigli di stile. Anche se poi il consiglio migliore rimane un po’ quello di George Orwell, che dopo aver messo su carta un sommario di regole di scrittura arriva al punto:

Violate ognuna di queste regole piuttosto che scrivere qualcosa di barbaro.

Per Ernest Hemingway bisogna cominciare con una frase vera: parliamo di uno scrittore realista, che sputa fuori realtà a ogni angolo di pagina. Poi suggerisce di distrarsi, in fondo c’è la vita là fuori:

Se continui a pensare alla storia, perdi la cosa che stavi scrivendo prima di poterla continuare il giorno dopo. È necessario fare attività fisica, stancare il corpo, fare l’amore con chi ami. Questa è la cosa migliore di tutte.

 Sulle piccole distrazioni anche Chuck Palahniuk ha la sua idea:

Quando non ti va di scrivere, imposta un timer da cucina su un’ora (o mezz’ora) e siediti a scrivere finché il timer non suona. Se ancora non ti va di scrivere, sarai comunque libero in un’ora. Ma di solito, non appena il timer suona, sarai così coinvolto e divertito dal lavoro che continuerai. Al posto del timer, puoi azionare una lavatrice o una lavastoviglie e usarle come cronometro. Alternare all’impegno della scrittura il lavoro ripetitivo di queste macchine ti darà le pause necessarie per le nuove idee e le intuizioni di cui hai bisogno. Se poi non sai come continuare la storia… pulisci il bagno, cambia le lenzuola, per amor del cielo!, spolvera il computer. Arriverà una idea migliore.

Kurt Vonnegut si concentra sulla semplicità: “siate semplici”, ripete come un mantra, qualunque cosa stiate scrivendo, una lettera d’amore, una petizione a un sindaco, un romanzo.

Ricordate che due grandi maestri della lingua, William Shakespeare e James Joyce, scrivevano frasi quasi infantili mentre i loro argomenti erano i più profondi. “To be or not to be” chiede l’Amleto di Shakespeare.

Inoltre invita ad avere il coraggio di tagliare: se una frase non sembra perfettamente integrata nel testo, se non soddisfa lo scrittore, tanto vale tagliarla.

“In definitiva, le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio che siano quelle giuste, con la punteggiatura nei posti giusti in modo che possano dire quello che devono dire nel modo migliore”, scrive Raymond Carver, che disprezza i vecchi trucchi da quattro soldi del mestiere. E se Edgar Allan Poe ci regala addirittura un saggio sul tema (Filosofia della composizione), Jack London ci va giù duro parlando di una vera e propria filosofia dello scrittore:

Devi toccare con mano il pul­sare più profondo delle cose. E la somma di tutto questo sarà la tua filosofia operativa, con la quale, in seguito, mi­surerai, soppeserai, valuterai e interpreterai il mondo. Ciò che chiamiamo individualità non è altro che questa impronta personale del punto di vista di ogni singolo in­dividuo.

Dalle parole giuste al taglio di quelle superflue, fino a creare un vero e proprio mondo personale da esorcizzare su carta.

Consigli fuori dalla generazione dei soliti consigli li ha dati per esempio Charles Baudelaire (“Non abbiate mai creditori, se proprio volete, fate finta d’averne; è tutto quello che posso concedervi”), o anche Jack Kerouac (“Cerca di non ubriacarti mai al di fuori di casa tua”). E ancora, Henry Miller: “Resta umano! Vedi gente, vai in giro, bevi se ti viene voglia.”, che aggiunge anche un aspetto di puro piacere e divertimento alla scrittura: “Non sei un cavallo da soma! Lavora solo con piacere.”, che anche Kerouac riprende: “Scrivi per ricordare e divertire te stesso”. In fondo è tutto un grande gioco, e allora perché non scrollarsi di dosso la posa di profonda serietà della faccenda?

“Non pensare ai tuoi amici mentre scrivi, né all’impressione che farà la tua storia. Racconta come se la tua storia non avesse alcun interesse se non per il piccolo ambiente dei tuoi personaggi, di cui saresti potuto essere uno di loro. Non si ottiene in altro modo la vita del racconto”, scrive Julio Cortazar. E del resto Francis Scott Fitzgerald si vietava di parlare agli altri del proprio lavoro in corso finché non fosse finito. Un variegato mondo di consigli, insomma, che in fondo torna diritto verso Orwell: violare ognuna di queste regole non è peccato.

 

 

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