Dalla parte dei nominati: Atto di Dio di Giacomo Nanni

Camus diceva che “quando si cominciano a nominare bene le cose diminuisce il disordine e la sofferenza che c’è nel mondo”. L’implicazione logica dietro questa frase risiede nel potenziale difensivo dietro l’atto del nominare. Dare i nomi alle cose è una forma di difesa dinanzi all’ignoto. Ciò che ha un nome si può comprendere. L’attività del nominare ha come effetto estremo (ma reale, in certi casi) il possesso dell’ente nominato. La frase attraverso cui diamo un identificativo alle cose è un atto performativo che implica un’azione nascosta nel linguaggio.

Giacomo Nanni, fumettista e illustratore riminese che i seguaci de Il Post ricordano forse per il suo blog disegnato, sembra aver compreso tutto ciò che il nome porta dietro di sé e ha cercato di esplorare l’azione attraverso cui, in quanto esseri umani, diamo i nomi e i risvolti di questo atto in una maniera davvero originale in Atto di Dio.

Dopo che una bibliografia immensa che, dalla Bibbia a Camus, passando per Il “Romeo, Romeo” di Shakespeare, ha esplorato cosa vuol dire essere gli autori degli atti nominativi, Nanni capovolge il paradigma ponendosi dalla parte dei nominati.

Se non comprendi la realtà, capovolgila! L’impresa è titanica e Nanni si spinge ancora oltre nel suo progetto, dando proprio la possibilità di esprimersi a ben tre “nominati”: un cerbiatto, un fucile e il terremoto che sconvolse le Marche nel 2016. Le voci delle “cose” si mescolano e si fondono aleggiando tra le cime dell’Appennino come un’eco che spiazza coloro che nella montagna vedono un simbolo domestico.

Il linguaggio di Nanni è coinvolgente pur essendo distaccato, come quei documentari sui canali satellitari il cui stile rende interessante un argomento didattico e descrittivo. Il riminese sembra sbobinare il flusso di coscienza dei suoi “nominati” senza interferire nelle azioni e nei pensieri di questi, come succede nel caso dei cameramen che cercano di non far sentire la loro presenza agli animali che riprendono, senza costringere il leone a inseguire la gazzella.

“Dicono che sono un capriolo”, così inizia il graphic novel di Nanni, con una frase che sa di epico, che come le voci che si inseguono fra le valli, sembra fare il paio all’incipit di Moby Dick (anche lì il nome giocava un ruolo fondamentale in ottica interpretativa). L’opera si apre con un capriolo che non sa di esserlo e che trasmette questa sua incoscienza anche attraverso la condizione in cui si trova: perso in un parcheggio di un centro commerciale, preda delle macchine che sfrecciano e gli impediscono di muoversi alla ricerca di altri prati più ospitali. Il cerbiatto incuriosisce e spaventa gli avventori che si trovano di fronte all’inconsueto, all’ignoto che non si sono mai trovati costretti a nominare e che, in virtù di questo, non possono controllare. Cosa si fa quando ci si ritrova un capriolo al vostro fianco mentre state portando il carrello nell’apposita area fuori dall’ipermercato?

Sono io, il capriolo che vive nel boschetto vicino al centro commerciale, e rischio di trasformarmi in un problema perché dovrei essere selvatico.

Il potere dell’essere umano sulle cose, che nel caso del cerbiatto viene mostrato in fieri, è rappresentato nella sua compiutezza quando si vede parlare il fucile da caccia, costruito in maniera perfetta dal punto di vista ingegneristico per provocare il massimo dei danni alla preda ma che diventa assolutamente impotente quando utilizzata dall’uomo. Tutte le caratteristiche che rendono perfetto l’oggetto sono affidate alla mano esperta (o meno) di chi spara. Il fucile si ritrova strumento portatore di morte privo di volontà alla mercé di chi lo ha prodotto e nominato.

Ma vi è anche ciò che il potere nominativo dell’essere umano non ha piegato al proprio controllo. L’immensamente grande e l’immensamente potente: il terremoto. Nominabile, calcolabile, analizzabile ma, nonostante questo, imprevedibile e incontrollabile.

Le cose sono quelle che sono non ciò che l’essere umano vuole farle essere. Non c’è cattiveria dietro gli eventi naturali, come il terremoto, per quanto gli effetti siano struggenti e devastanti. C’è però coscienza nelle nostre azioni. La presenza dell’uomo nelle pagine di Nanni, convitato di pietra della sua opera, è a dir poco marginale e in molti casi negativa (come nel caso di chi preso da raptus, cerca di uccidere il povero cerbiatto). L’essere umano è Dio in terra, ma è un Dio malefico, capriccioso, che vuole tutto al suo servizio e si infuria se non riesce a far quadrare le cose all’interno del suo schema di controllo e sottomissione.

Il contrasto tra la prosa da National Geographic con cui descrive il territorio dei Monti Sibillini, meraviglioso nella sua naturale essenza, si oppone al chiasso del traffico lungo le strade che costeggiano il parcheggio dell’ipermercato dove il cerbiatto ha trovato rifugio.

Con il proseguire del libro, vi troverete di fronte anche al tentativo di Nanni di giocare con quello che non esiste ma che, una volta nominato e convenzionalmente riconosciuto, finisce per esistere (seppur non nella realtà).

Dal punto di vista stilistico, il tratto di Nanni è pulito ed essenziale ma reso incredibilmente denso e pregnante dai colori, ereditati dal mondo della pop art. Le pagine si susseguono come scene di un film corale intervallate da voci fuori campo che fanno il punto, descrivono ciò che non appare ai nostri occhi e sulle pagine.

Atto di Dio non è un libro semplice ma è ambizioso nei temi trattati e nelle modalità attraverso cui viene rappresentato qualcosa che sarebbe molto difficile rendere in maniera così lapalissiana su un altro mezzo, ma che il fumetto fa emergere in tutta la sua abbagliante ovvietà.

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