L’estasi di un concerto di Damien Rice

Quando in treno o al lavoro ti ritrovi a cercare le canzoni dell’artista che hai sentito la sera prima per ricreare quell’atmosfera, quella sensazione, quegli attimi di felicità scolpiti nella testa ma che sono già in parte sbiaditi nei tuoi occhi, ecco, significa che quel concerto ha funzionato. E senza dubbio, almeno sulla metà degli smartphone che hanno immortalato Damien Rice un giovedì sera di metà luglio, solo, vestito di lino, inerme e invincibile su un palco che dominava una Caserta notturna sconvolgente dal Belvedere di San Leucio, il giorno dopo suonavano in modalità repeat Cannonball e 9 Crimes.

Per quanto il cantautore irlandese sia famoso per essere un artista spontaneo, poco mondano e illuminato, tanto da aver scelto per questo tour Wood Water Wind Tour
di raggiungere i posti in barca a vela con una ciurma di fedelissimi amici, nel live a Caserta tutto sembrava studiato a tavolino. Anche quello che una mano umana non poteva progettare, come il cielo terso, il tramonto brillante, poi la notte stellata e il silenzio calato su quel palco dove il tempo si è fermato per due ore. A scandirlo solo le risate per i tentativi incerti di parlare in italiano, il suo schiarirsi la gola davanti a parole dimenticate durante le canzoni e il suono di una chitarra provata dall’uso, raffazzonata con qualche toppa, lasciata sul palco, stanca. Davanti a tanti che ripetevano di volerla portare a casa, come se bastasse quello per raggiungere quell’aura sensibile e imperscrutabile che Rice è riuscito a riportare sul palco.

Che sarebbe stata una serata indimenticabile, va detto, lo si è intuito dall’apertura, riservata a due musiciste, la svedese artista pop Mariam The Believer, alias di Mariam Wallentin, membra con il marito dei Wildbirds & Peacedrums e l’islandese Gyda Valtysdottir, esponente dei Mùm. Dal violino, al pianoforte, le loro voci hanno preparato la scena e la concentrazione. Per lui, sul palco alle 21,35, in linea con l’onda di puntualità che sta invadendo i concerti italiani, ha rotto il ghiaccio con un semplicissimo, quanto mai inappropriato vista l’ora, «Buongiorno». Quella voce che, senza effetti e scenografie, ha riempito il Belvedere sulle prime note di The Professor and la Fille Danse, per proseguire in un flow imprevedibile di un’ora e mezza, come lo erano i brani scelti sul momento per il live, affidati solo alle dita e alla chitarra. Pezzi mai incisi, inediti come Your Astronaut, note al pianoforte e atmosfere rock, ballad folk come Coconut Skins. E gli immancabili successi, entrati nelle playlist di chiunque, come Delicate o Cannonball che l’artista ha suonato con una chitarra e la sua voce. E c’era tutto. Nel buio totale, senza microfono né vesti sceniche, illuminato solo dai telefonini e dal riverbero delle luci della città. Con una platea che, seduta a terra o appoggiata alla ringhiera del Belvedere, canticchiava sottovoce per non interrompere quell’incantesimo.

Una vista che il cantautore ha elogiato per tutta la serata, che lo ha distratto – ha detto ridendo – in diversi momenti. Come l’Italia, dove si trasferì anni fa per un breve periodo da contadino. Come Napoli dove ha suonato l’anno scorso per salvare il monte Olivella, «It’s my second home». È in quell’occasione che Rice ha incontrato Massimo De Vita, cantante del duo napoletano Blindur che a Caserta ha invitato sul palco per celebrare «un rapporto incredibile» saldatosi sulla collina di San Martino dove De Vita, non vedente, ha condotto Rice bendato per capire cosa significasse una vista splendida per un cieco. E lì, nelle luci soffuse del Belvedere, è come se quella sensazione abbiano voluto condividerla con tutti, anche se solo per pochi minuti.

Ma se nella solitudine Damien Rice si è mostrato enorme, non è stato da meno quando ha diviso il palco. In primis con Greta Zuccoli, la corista che lo ha accompagnato nei duetti, come Cold Water, e successivamente con i suoi compagni di avventura, le stesse Mariam The Believer e Gyda Valtysdottir, con cui veleggia nel mediterraneo tra un concerto e l’altro. Una sintonia che sul palco ha concluso la serata. Il compito, oltre ai brani delle due artiste, è stato affidato a 9 Crimes e a tre semplici parole che racchiudevano tutto. «Buonanotte e grazie». Solo un vuoto, The Blower’s daughter, che ha mandato a casa tanti con quella sensazione che alla fine, come l’amaro dopo una lunga e appetitosa cena, mancasse qualcosa. Non i più temerari che, conoscendo Rice, hanno deciso di aspettarlo. E lì fuori dal cortile, lontano dal palco e sempre più vicino alla «beautiful view», l’ha cantata. All’una di notte, ai pochi eletti. Quasi per lasciare il segno, in quell’atmosfera voluta e raggiunta, che non importa dove, o perché, ma si è sempre pronti a stupirsi. Come navigando su una barca a vela, sull’oceano mare. Soli, con una chitarra sgangherata.

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