La resistenza del sensibile | Daughter | Unaltrofestival day #1, Milano

Milano d’estate quasi non esiste, sono tutti fuori e chi c’è faticosamente cerca di recuperare il ritmo del quotidiano. In metropolitana si respira e anche nelle ore di punta riesci ancora a trovare posto. Anche le città più grandi, allora, hanno quel momento di decompressione, e possono concedersi il lusso di rallentare per un po’. Non possiamo sentirci per questo distanti, quando arriviamo al parco estivo del Magnolia, per la prima giornata di Unaltrofestival, così tranquillo, anche lui, nelle ultime serate di apertura, prima che ritorni l’assembramento della stagione invernale. Ad aspettarci ci sono Edward Sharpe & The Magnetic Zeros già oltre la metà della loro esibizione. Cerchiamo di intrufolarci fra la folla poco densa e fatta di tanti diversi tipi di persone che, se credessimo in una certa abitudine nella catalogazione, ci risulterebbe ancora più complicata da descrivere. L’atmosfera non si discosta molto dall’idea che ci siamo fatti della resistenza un po’ hippie un po’ rurale dell’Arkanso, cappelli di paglia e fascette fra i capelli ma anche tanti dislivelli anagrafici. È una commistione complessa, che non dipende forse tutta dai 300 milioni che, fra ascolti e views, ha portato tanta visibilità alla band di Alex Ebert. Si tratta pur sempre di Rough Trade e, fondamentalmente, Ebert è un trascinatore in tutto e per tutto, un sottile sciamano in canottiera e bottiglione di vino, che a tratti lascia un po’ troppo le redini all’alterego Sharpe, trasformando la narrazione per un attimo in dolce spettacolarità che tende ad amalgamare solo il pubblico più fedele. Quell’ambiente di casa che in Person A tende a farsi più malinconico rispetto al passato e che si allontana tanto da Home, che li ha portati in Europa e da più di qualche anno continua a girare senza sosta. La rielaborano, senza farla aspettare troppo, interrompendola sul più bello. Ebert o Sharpe si siede e prova a raccontare una storia alle prime file, cerca un contatto finché il microfono non arriva a un ragazzo che racconta del suo rapporto con la canzone, storie di lontananza e di madri, ma la tensione si abbassa – di certo non nel petto in esplosione di quel ragazzo che non vuole lasciare proseguire il concerto. Lo dicevamo, Ebert è un virtuoso di certi movimenti, e quando in chiusura una versione folk-rock di Instant Karma i sentimenti sono ambivalenti, fra il sacro e il profano. Non ce lo aspettavamo, urla quasi, e il risultato non è nemmeno così cattivo, per i meno puristi. Ma le persone ballano, che siano in jeans o vestitino, con buona pace di JL. L’ultimo saluto che danno al pubblico e anche la buonanotte per tanti che non aspettano l’arrivo dei Daughter. Questioni di fedeltà diverse, probabilmente.

 

Serve uno sforzo importante per calarsi in una situazione diametralmente opposta a quella che abbiamo appena vissuto. Forse anche una scrittura diversa, quando il reportage si mescola con qualcosa di difficilmente identificabile, testimoniato dal fatto che le nostre voci si sono confuse con l’intro di How e i Daughter silenziosamente erano già con gli strumenti in mano. Da lì, in poi tutto ha avuto un altro significato. Perché quella malinconia si addolcisce quando te la racconta Elena Tonra, che non si è smarrita e rimane quella riserva di cui abbiamo così tanto bisogno. Il confronto con Ebert si fa siderale in termini comunicativi, e non solo perché parliamo di due generi che permettono solo gestualità opposte e hanno ognuno una diversa applicazione in termini di coinvolgimento del pubblico, e tutto dipende anche da che colore ha il cielo quanti ti alzi la mattina. Anche a distanza, in campi concettuali agli estremi, ti si attacca addosso quel tipo di magnetismo da cui vieni attratto, senti che quell’occhiata era indirizzata proprio a te. Certe cose non si possono spiegare, puoi solo accettarle per come arrivano – forti da convincerti in un momento di coraggio a salire sul palco per abbracciarla per tutte le volte che l’hanno respinta e lasciata cenare da sola come in Alone / With you. Così inclemente nel prendersi la scena ma ancora fondamentalmente fragile quando il giro iniziale di Shallow non si conclude come dovrebbe e Igor Hafaeli le viene in soccorso, ripristinando il 3d dei nostri sguardi. È un continuo oscillare fra If you leave e Not to Disappear senza un vero vincitore con il tempo che c’è. Ti guardi per un attimo intorno, e se sei fortunato c’è qualcuno che conta e il momento diventa quasi spirituale perché pensi che ti vorresti trovare lì anche fra vent’anni, con le stesse poche cose che ti rimangono. È uno di quei concerti di cui senti di doverti impossessare, egoisticamente, anche solo per un attimo, anche quando il respiro ti cade e il caldo ti bagna la fronte e stai per lasciarti andare al suolo durante Smother. Hanno tutti gli occhi ancora chiusi quando partono le prime note di Youth, che forse ha perso un po’ per tutti lo stesso carattere del 2013, ma solo se ci si vuole prendere per forza sul serio. Rintocca l’ultimo silenzioso battito di Fossa ed è un addio senza encore, perché scompaiono in fretta, forse per lenire la sensazione della perdita che iniziamo a conoscere di nuovo. Scomparsi, un’altra volta.

Ci guardiamo attorno, favoriti dalle luci, e tutti sembrano sentirsi come, dispersi.

Dopo If you live il percorso dei Daughter poteva far pensare che l’impegno per l’accuratezza dei suoni avesse potuto sacrificare altro, ma se si è perso qualcosa non è certo quello strano potere che hanno sulle persone. I brani di repertorio finiscono per integrarsi alla perfezione a quelli di Not to Disappear, nella successione di una ritmicità più marcata di cui mancavano, lasciando ben visibile il loro stile. L’aggiunta di un quarto elemento nella formazione live dà loro la possibilità di alleggerire il lavoro e concentrarsi, finché non arrivano alcune sensazioni, di quelle forti. Come una resistenza contro la perdita di sensibilità.

 

 



 

Setlist:

How

Tomorrow

Numbers

Alone / With You

Human

Shallows

Doing the Right Thing

Smother

No Care

New Ways

Youth

Fossa

Exit mobile version