Death Cab For Cutie – Thank You For Today

Thank You For Today è un album piuttosto vago, che ci restituisce un’immagine sfocata di quello che sono i Death Cab For Cutie oggi, dopo otto album in studio. Sembra non ci sia un chiaro progetto, piuttosto è quasi un lasciarsi trascinare dalla corrente per vedere dove si finisce.

Il nono lavoro dei Death Cab For Cutie presenta l’idea di fondo di una riflessione sul cambiamento di una città (Bremerton, Washington). Riflessione che si evolve poi in una critica a una società ormai alienata, che rivolge la propria attenzione allo schermo d’uno smartphone piuttosto che a dove cammina o alle persone. È questo che traspare anche da Gold Rush, il terzo pezzo, in cui vengono ripetute come un mantra “Please don’t change” e, a fine canzone “It didn’t used to be this way”. Ad accompagnare una canzone dal sapore molto eighties, il video ricalcante in maniera piuttosto fedele quello di Bitter Sweet Symphony dei The Verve, dove Ben Gibbard dichiara ripetutamente la sua estraneità ad una società in cui non si riconosce più.

 

 

In Summer Years, il secondo brano, con linee di batteria che riportano alla mente quelle di Weird Fishes dei Radiohead, si poggiano parole che fanno pensare alle immagini di un film nostalgico: Sometimes I wake at night / And watch the rain fall through the street lights / ‘Cause you’re standing still in my mind / Fading out, waving goodbye.

Le influenze del produttore, Rich Costey (già produttore di Muse, Interpol), si fanno palesi soprattutto nella seconda parte del disco, a partire da Autumn Love, dove emergono richiami alla scena indie rock/pop, ma anche in You Moved Away, dove sembra riaffiorino i Linkin Park nella loro accezione più pop ed i The Killers.

 

 

È un disco triste, che narra sentimenti di assenza, di estraneità, di mancanze, ma in un modo inaspettato per la band, perché assistiamo ad una svolta molto pop rispetto ai lavori precedenti. Il cui potere evocativo risulta piuttosto artefatto, poco autentico, ed, a parte rari episodi di pathos, sta più nei titoli dei brani che nella loro sostanza. A tratti appare piuttosto evidente lo scollamento tra la base uptempo (soprattutto nella sezione ritmica) e la sezione vocale (Summer Years, Near Far).

Tutto sommato è un disco piuttosto scontato, senza grandi episodi degni di nota, orecchiabile, ma che difficilmente supera i grandi lavori della carriera ventennale della band.

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