The Decemberists – What a Terrible World, What a Beautiful World

“Anno nuovo, vita nuova”, deve aver pensato Colin Meloy, frontman e songwriter dei Decemberists, i popolarissimi pionieri dell’indie folk a stelle e strisce, dopo aver concluso le registrazioni del suo ultimo lavoro.

Esce oggi per la Capitol Records What a Terrible World, What a Beautiful World, settimo lavoro per la formazione di stanza a Portland, Oregon, che infrange il silenzio (discografico, va da se) più lungo che la loro blasonata carriera abbia mai conosciuto.

Li avevamo lasciati con l’eccellente The King Is Dead (2011, Rough Trade / Capitol) e le sue atmosfere marcatamente campestri e li ritroviamo con un lavoro decisamente più ibrido, seppur non innovativo. What a Terrible World, What a Beautiful World, infatti, apre a sonorità a cui, col passare del tempo e col crescente successo, i Decemberists ci avevano disabituato: violini e fisarmoniche, vero marchio di fabbrica della band, lasciano in parte il passo a strumenti elettrici che, in alcuni degli episodi più riusciti, fanno la loro timida comparsa.

Ed è qui che sorge il problema di questo lavoro: non tanto nell’evoluzione (parziale) delle sonorità, che anzi, nella maggior parte dei casi viene ben accolta; piuttosto nell’indecisione ai limiti della sbadataggine con la quale Mr. Meloy e compagni alternano arrangiamenti pop-rock per armonie di risoluto stampo folk. La qual cosa, va detto, non pregiudica la riuscita del disco nel suo complesso, piuttosto fa sì che per essere apprezzato del tutto, il disco necessiti ben più di un paio di ascolti (che non è il massimo, visto che stiamo parlando di un gruppo che, tutto sommato, fa musica pop).

Oltre agli accorati sing-along che hanno fatto la fortuna del genere musicale (e di gruppi come Mumford & Sons e Lumineers) un’altra nota positiva di cui diamo atto ai Decemberists è rappresentata da un’affascinante malinconia di fondo che permea il disco e che si oggettiva appieno in Make You Better, unica canzone davvero memorabile insieme a Mistral, The Wrong Year e The Singer Addresses His Audience.

Sufficienza piena, nonostante tutto.

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