Devendra Banhart – Mala

Voglio partire da un pezzo particolare per parlare di questo piccolo capolavoro di Devendra Banhart, ovvero il duetto con la fidanzata serba Ana Kraš in Your Fine Petting Duck, qualcosa che mi riporta alla mente quanto fossero belli e spietatamente appassionanti i duetti tra Serge Gainsbourg e Jane Birkin, se non fosse che la voce di Ana è più profonda del cinguettio della Birkin. Dopo un’apertura in stile latino e americano (americano del nord folkish) di Devendra, il pezzo si apre addirittura a un finale elettronico, con intermezzi di tedesco che però sembra francese per quanto è pronunciato dolce, sensualismi regalati. Subito dopo parte The Ballad of Kenaan Milton, ed è una pugnalata al cuore dopo la chiusa elettronica, perché è semplice arpeggio di chitarra. C’è qualcosa del flamenco in questo arpeggiare da saudade, siamo forse a una specie di world music contaminata dal 2013.

I detrattori di Devendra, pur apprezzando i vecchi album di successo (Rejocing in the Hands e Nino Rojo) spesso hanno trovato da ridire sul fatto che scrivesse sempre lo stesso pezzo riarrangiato, ma qui siamo decisamente oltre. Mala a volte può apparire ripetitivo, soprattutto sul finale, ma è una questione melodica per folksinger di razza: e Mala ha tutte le carte in regola per essere un disco da ascoltare e riascoltare. La vena che occhieggia alla lingua tedesca di Devendra si nota anche nella scelta del titolo del terzo pezzo, Für Hildegard von Bingen, che poi è la storia di una santa cattolica che diventa una VJ. Anche qui siamo nel campo delle contaminazioni, dell’assurdo, stavolta la chiave è però nel testo. Poesia anche nell’arpeggio di Daniel, musica da sottofondo per tempi duri, un wilcoismo lo-fi. Prima di tornare a danzare con Mi Negrita.

Ma cos’è Mala in fondo? Anzitutto una diatriba linguistica, in una notte a telefono Ana sussurra questa parola al fidanzato, che in spagnolo vuol dire cattiva, ma in serbo tenera. Disco cattivo, maleducato, ma altrettanto dolce. Se potessi direi a Banhart di continuare la ricerca del folk che sfocia in elettronica, gli spunti ci sarebbero: poi guai a dire che scrive sempre lo stesso pezzo.

Nonesuch, 2013

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