Di Courtney Barnett abbiamo sempre bisogno

Quando lo scorso luglio Courtney Barnett aveva pubblicato il singolo Rae Street in anticipazione al nuovo disco Things Take Time, Take Time, era già chiaro che l’arguzia e immediatezza a cui la musicista ci aveva abituati fin dal debutto, avrebbero caratterizzato anche questo album. Se nelle prime due prove discografiche, Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit e Tell Me How You Really Feel, la scrittura si appoggiava però su una musica di derivazione indie grunge, in questa produzione i suoni diventano più sparsi e delicati. Scritto durante il lockdown e registrato tra Melbourne e Sidney, Things Take Time, Take Time sembra l’equivalente musicale di un film in bianco e nero, dove l’assenza di colore è funzionale a far risaltare le emozioni su tutto il resto. Non che il disco sia privo di ritmo; grazie alla produzione di Stella Mozgawa, batterista delle Warpaint, pezzi che si avvicinano all’elettronica come Turning Green, convivono piacevolmente con canzoni dallo stile caratteristico della Barnett (Take It Day By Day e If I Don’t Hear From You Tonight). Ci sono però anche brani fino ad ora inediti nel repertorio della musicista australiana, come la tenera ballad al piano in coda al disco, Oh The Night.

 

Things Take Time, Take Time è un album fortemente personale, abitato dagli echi del periodo traumatico vissuto collettivamente; un periodo che per Courtney si era aperto con la conclusione del rapporto con la partner Jen Cloher, due lutti, e i devastanti incendi in Australia. Nonostante tutto, i testi sono sarcastici, ma mai pessimisti; se la musicista mantiene un approccio ironico alla vita (Rae Street), le canzoni si concentrano anche sui piccoli momenti che la colorano, come una festa con gli amici che è ispirazione per il testo di Sunfair Sundown. L’amicizia è anche alla base di Write A List of Things To Look Forward To, in cui Courtney riflette sull’importanza della condivisione quando il mondo cade a pezzi. È un tipo di scrittura che, anche se derivata in prevalenza dall’isolamento del lockdown, resterà sempre attuale.

 

L’assenza di brani dal suono ruvido che era invece tipico negli album precedenti, è giustificata dalla volontà di scrivere un disco che suoni “come il tentativo di confortare un amico attraverso un abbraccio”. E l’effetto provocato dall’ascoltare le dieci canzoni di Things Take Time, Take Time è proprio questo. Perché la forza di questa musica sta nell’offrire a chi ascolta una possibilità di identificazione. Quelli di Courtney non sono album introspettivi con cui si fatica a trovare una connessione; nella sua scrittura i riferimenti alla carriera di musicista affermata sono scarsi, e se presenti, sono pieni d’ironia; tra noi e la cantante sembrano non esserci barriere; ascoltarla equivale a sedersi in un caffè e confidarsi con un’amica.

Questa onestà senza filtri è la stessa che ci ha fatto appassionare alle canzoni di Jonathan Richman e alle poesie schiette di Charles Bukowski. E quella che caratterizza Things Take Time, Take Time è una sincerità di cui – dato lo stato attuale di un panorama musicale dominato da falsi rockers – abbiamo un dannato bisogno.


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