Diario di un delicato: il testamento sentimentale di Pierre Drieu La Rochelle

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Diario di un delicato di Pierre Drieu La Rochelle è un libro nel quale soffia un vento gelido. Si realizza presto di avere a che fare con un testo a tratti impenetrabile, con una voce che anela alla bellezza, ad un’idea di perfezione, incapace di relazionarsi col caos e con qualcosa che sia altro da sé. È considerato un classico della letteratura francese: l’ho letto nella traduzione di Milo De Angelis per SE editore, con una postfazione dello stesso traduttore che specifica che l’io narrante, senza nome, è La Rochelle in tutto e per tutto. Suoi sono gli ideali, le divagazioni, la riluttanza nel compromettersi con l’amore, con la paternità, con la banalità dell’esistenza. Conosciamo un personaggio giudicante, un dandy che disprezza gli aspetti pratici del suo lavoro, il suo capo, e abdica all’amore romantico, gettando in un pozzo di solitudine l’amata Jeanne, che ha la colpa di volere un figlio da lui.

Il diario è apparso per la prima volta nel 1944, su una rivista, un anno prima del suicidio dello scrittore, inviso ai suoi connazionali per l’apertura verso il fascismo e le idee politiche ondivaghe e spesso contrastanti. Il suicidio era un’ossessione per lo scrittore, che fin da giovanissimo immaginava di porre fine alle sue tribolazioni togliendosi la vita. Quando il diario viene pubblicato, La Rochelle è un autore già noto in Francia e si dice deluso dalle ideologie: in realtà sta cercando qualcosa che esula da qualsiasi forza politica. Nel diario trionfa una stagnazione ideologica. Scrive: “Se scivolo nella solitudine, nel distacco dalle cose e dagli esseri, e se non nell’estasi mistica, almeno nella contemplazione intellettuale, non è forse perché tutto ciò è un pretesto per fuggire la vita e corteggiare la morte?” L’alter ego di Drieu è demotivato: silenzioso e rimuginante, non riesce ad individuare spiragli che assomiglino al suo ideale di bellezza ed incolpa il suo ambiente di lavoro. Vorrebbe visitare il Partenone, andare in Grecia, evitare le vacanze su un’isola della Francia brulicante di turisti, ma sa che la sua resistenza ferirebbe Jeanne, la sua compagna, desiderosa di partire e di andare al mare. Si smarrisce nella sua lucidità tragica ed inesorabile quasi non esistesse un subconscio. Soffre nel non riuscire ad accontentare Jeanne, per la quale prova un sentimento contemplativo.

Jeanne è bella, forte, intellettualmente onesta. Auspica per lei ed il suo compagno un margine di “normalità” e questa pretesa è l’arma con cui simbolicamente colpisce il compagno, determinandone l’allontanamento. Lei agogna l’energia, il fiatone che segue la corsa. Lui è trincerato in sé stesso. “Per Jeanne appartengo unicamente alla terra, quando mi stringe tra le braccia, ed è il momento in cui è più vicina al cielo (…). Sono per lei il nesso tra le gioie, i dolori, i sacrifici, gli accanimenti. Ma so che in me ama qualcosa che va al di là di me stesso”.

Lei rimane incinta e lui gliene fa quasi una colpa: teme la trasformazione inesorabile di entrambi, la perdita del controllo e della concentrazione. Si scatena la rabbia: “Sono padrone delle apparenze. Di volta in volta   ammetto e respingo le apparenze. Le trappole di Jenna non sono nulla per me. Le belle braccia di questa giovane donna, che sarebbero anelli d’acciaio per altri uomini, io le spezzo”. Davanti alla prospettiva della genitorialità Jeanne trova un muro e fa un passo indietro, facendo del male a sé stessa. Si scolla dai suoi desideri per assecondare le perturbazioni egoistiche dell’uomo che ama e che poi finisce col disprezzare.

La Rochelle

A distanza di anni, in un lasso di tempo indeterminato ma cospicuo, l’io narrante ci dice che contro il tempo neanche un sentimento come il loro poteva farcela, perché non poteva essere cristallizzato: “Vane erano state le nostre carezze, vana la nostra sincerità e la nostra intimità. Eravamo stati i migliori amanti, i migliori amici del mondo e tutto questo non era stato nulla. Il sacramento è insostituibile, come la grazia del vero amore che tocca due esseri e vale quanto il sacramento e chiama il sacramento”. Ma il sentimento che è più facile riconoscere come amore è di Jeanne, non del personaggio Drieu. C’è da chiedersi se l’io di Drieu non sia mummificato, incapace com’è di accogliere l’altro fino in fondo. Jeanne ha infatti la colpa di essere una distrazione, una dissonanza, nonostante sia ammantata di grazia, in ogni pagina. Quando sta per diventare madre, passa il limite: traghettare sia lei che Drieu verso una nuova dimensione dell’esistenza è inimmaginabile per lo scrittore. Una donna sta tentando di indebolire la sua fortezza di egocentrismo ed austerità. Il cammino di Jeanne verso l’oltre è un tramonto sul passato e anche una prospettiva sulla quale sfuma la fine del diario.

Alla fine degli anni Settanta una bellissima Bonnie Tyler scala le classifiche con il singolo It’s a Heartache: “è un tormento, niente altro che un tormento, che ti colpisce quando è troppo tardi, ti colpisce quando sei giù”. Questa canzone Jeanne non può conoscerla, ma quello che esprime è il fulcro del discorso che farà al suo ex compagno, decidendo di tenerlo a distanza. Dopo un anno dalla diffusione del diario, La Rochelle si suicida. Il diario non arriva a cento pagine, ma questa leggerezza è solo apparente: ogni pagina richiede uno sforzo di concentrazione e di comprensione, le parole non si volatilizzano, restano come pietre o come fiori, dipende, e chiedono di essere raccolte. Il lettore le fa proprie, le scandaglia, se ne distanzia anche. La sofferenza di La Rochelle è una solitudine autoinflitta, e quando l’alternativa si presenta e assomiglia ad altri esseri umani, lui la respinge con tutte le forze.

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