Dicono che non sappiamo più leggere

Dicono che non sappiamo più leggere, o almeno non riusciamo fisicamente e mentalmente a farlo per intero, che saltiamo da una parola all’altra senza capire il perché, che adesso queste parole non le state veramente leggendo, che siete già al paragrafo successivo e se incontrate un neretto per la strada leggete solo quello. Dicono che è nelle corde della nuova condizione umana non saper più leggere per intero, che ormai quando avete di fronte un pezzo usate il tasto per scrollare di continuo, che avete voglia di passare alle parole successive, come se queste non vi interessassero: che selezionate la parole, in maniera quasi naturale, che non state capendo niente di questo testo, che siete già via da qui, a un altro testo, che siete su un altro sito, e contemporaneamente mangiate cioccolata bevete caffè ascoltate un disco dei Mogwai e cantate Merry Christmas Yoko.

Dicono che ci siamo stancati delle parole, che ne leggiamo troppe al giorno su Whatsapp e Messenger, che chattare è un’esperienza moralmente faticosa, e che queste altre parole qui non diranno proprio niente di nuovo, e allora tanto vale scrollarle e passare a un pezzo su Cuba, un’offerta per massaggi in un centro benessere, un catalogo di gigolò ed escort per tutti i giorni. Lo ha scritto anche Michael S. Rosenwald sul Washington Post, e le cose che dicono sul Post americano in genere sono vere, sono quelli di una certa inchiesta sul Watergate in fondo, hanno scavato grandi verità, e ora Rosenwald dice che non leggiamo più come prima, e bisogna credergli. Abbiamo problemi di concentrazione online, perché ci distraggono con i rumori della strada mentre stiamo leggendo, c’è un panettiere che ti urla proprio sotto la finestra, e intanto ti arriva pure una telefonata, e hai ordinato una pizza e bussa al citofono. Contemporaneamente. Va da sé che non riusciamo più a concentrarci online.

Lo dicono anche i neuroscienziati cognitivi, e se lo dice la scienza – beh – dobbiamo crederle: altrimenti passiamo per religiosi e mistici dell’Occidente. Non comprendiamo più il significato, dicono che diventeremo un’umanità diversa, con occhi diversi, possibilmente colorati. Hanno intervistato alcune persone, gli scienziati cognitivi, che ammettevano di avere problemi di lettura, non lo sapevano fare più, per intero neanche a parlarne. Dicono che se leggiamo il titolo, soprattutto, poi ci distraiamo, chissà per quale assurda ragione iniziamo a ballare d’impatto, mentre leggiamo il titolo, o a produrre strani versi di noia, e scrolliamo. Il dio dello scroll è arrivato dentro di noi, e non morirà.

Dicono che siete arrivati già qui, sin dall’inizio: perché c’era il neretto (che tutto il resto lo avete saltato, neanche un corsivo: e certo potevi mettercelo almeno un corsivo). Dicono che per rinnegare il fatto che vi sentite a disagio in questa condizione avete provato seriamente a metterci una certa attenzione a leggere il discorso del Washington Post, ma che alla fine se non l’avete letto non è perché soffrite di qualcosa a livello cognitivo, morale, estetico, e vattelapesca, ma perché era un discorso noioso. E qui non ci arriverete per la stessa ragione. Dicono che è meglio andare a pesca oggi, se c’è il sole, piuttosto che scrollare. Dicono che siamo ancora vivi, ma per poco. Dicono che il libro stia morendo, che sarete tutti armati di iPhone e vi innamorerete di un sistema operativo, e parlerete al telefono al posto di guardarvi negli occhi, che scrollerete la gente: insomma è un fenomeno strano, mentre state guardando qualcuno gli saltate il tronco e il sesso e le gambe e passerete direttamente ai piedi. Ad ammirare i piedi. Dicono che sarete feticisti dei piedi, e dei neretti.

Non credete a quello che dicono.

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