Dieci canzoni italiane (in)giustamente dimenticate

Per i nostalgici della compilation blu e rossa del Festivalbar, per quelli che ancora si chiedono come sia possibile che un programma come Top Of The Pops sia scomparso dai palinsesti e, soprattutto, dove sia finito Jacopo Pastore. Insomma per tutti quelli che hanno amato ognuna di queste canzoni per un’estate per poi relegarle nel cassetto dei ricordi imbarazzanti dell’adolescenza, perché poi sono arrivati gli Smiths, i libri di Kundera e i film di R.W. Fassbinder. Perché anche se vi ritenete assolti questi incubi torneranno a riempirvi le orecchie. Ed è inutile voler cancellare il passato, perché ritornerà sempre. Se per caso la mancanza dei Gazosa, de Le Vibrazioni o degli Zero Assoluto vi sorprenderà, forse è meglio chiudervi in casa per ritornare a dimenticare tutto o è per ascoltarle ancora.

#1, La mossa del giaguaro, Piotta.

Il 90% della popolazione tredicenne è composta di sfigati che non sanno né dove mettere le mani né come muoverle. Piotta ha dato pessimi consigli per farsi esperienza e capire la propria strada e, per questo, non può essere dimenticato.  “Il supercafone” ha fatto capire che lo stile non è tutto e che la mossa Kansas city di Bruce Willis in Slevin in confronto al quella del giaguaro è roba da dilettanti. Un trash che muoveva i suoi primi passi e a cui va dato il giusto merito.

 

 

#2, Ragazze acidelle, Flaminio Maphia.

Poi si cresce e gli schiaffi hanno mostrato come la mossa del giaguaro sia troppo estrema per beccare. Ma dopo l’azione viene la riflessione e l’osservazione. I Flaminio Maphia, da cui Sebastian Ingrosso e soci hanno fatto nascere la loro band svedese, hanno fatto comprendere che su certe persone è meglio non puntare, come sullo yogurt scaduto da due settimane con i cocopops. Una di quelle canzoni che hanno fatto capire all’Italia che tutti prima o poi vengono smascherati.

 

#3, BoyBand, Velvet.

In questa classifica merita una menzione d’onore perché, oltre a essersi presi gioco di un’abitudine tutt’oggi esistente, si sono evoluti in maniera abbastanza rispettosa. BoyBand dei Velvet è stata l’alternativa al fatto che per averne devi fare successo o formare una band come i Blue o i Backstreet Boys, la tipica rivalsa dei nerd ma che ha funzionato e, probabilmente, ci ha permesso di restringere la classifica a solo dieci tracce invece che 10mila. Rimane comunque un raro capolavoro fra le canzoni più cantate in macchina e rischia di rubare la corona anche agli 883.

 

#4, Troppo Bella, Davide De Marinis.

Il Neil Young italiano non ha mai ricevuto la giusta attenzione, ma ha reso i giorni di molti sognatori pieni di colesterolo e speranze mai trasformatesi in conquiste. De Marinis con le sue note semplici e con parole di pura poesia ha fatto odiare le donne belle, quelle brutte e quelle che fanno scrivere le canzoni. In un’ipotetico best of del Festivalbar sarebbe tra le prime 5 tracce, per un viaggio di ritorno ai 15 anni.

 

#5, Dentro una scatola, MondoMarcio Vs. Finley.

Sembrava impossibile unire una boyband con un rapper come MondoMarcio e invece è successo. I Finley erano al culmine del successo, “Tutto è possibile” ci raccontava di come si possa diventare famosi dal garage di casa propria e senza saper suonare, e MondoMarcio anticipava quell’esplosione dell’hip hop e del rap che ci ha donato esemplari come Fedez o Emis Killa. La sua “Dentro una scatola” parlava del lato oscuro dentro ogni ragazzino, averli uniti ha fatto gridare giovani generazioni più forte che degli assatanati. Comunque rimane una maniera più sana rispetto a come stanno facendo quelli di oggi spogliandosi per i One Direction, anche se i Finley rimangono i Finley.

 

#6, Cleptomania, Sugarfree.

Mi affido al commento di Alessandro C., che troverete (comprensibilmente) tra i più votati: «La prima canzone che ho ascoltato nel 2013 ❤»


#7, La canzone degli anni zero prima di Vasco Brondi: Quando sei ragazzo, Simone.

Simone, conosciuto dappertutto per le sue hit dai testi forti e provocatori, ci ha dato un’istantanea dell’essere ragazzo negli anni zero, quando lui aveva già 31 anni. Ha aperto concerti di Vasco Rossi, ha scritto canzoni per Paolo Meneguzzi (vedi la voce #10) e, ultimamente, sta scrivendo un nuovo audiolibro “Quando io e Gianluca Grignani stompavamo insieme” . Ma “Quando sei ragazzo” ha segnato il difficile passaggio dall’essere adolescenti e senza problemi, in cui ogni cosa con la parola giovane ti eccita, a fare i conti con la propria coscienza.

 

#8, Il mio amico vende il tè, Luca Dirisio.

Voce vibrante, salti mortali e proverbi che fanno sbiancare i vecchi al bar per la rapidità e la saggezza con cui sono proferiti. Luca Dirisio aveva sconvolto l’Italia con “Ci vuole calma e sangue freddo”, in testa alle classifiche e dentro a numerosi pantaloni femminili, ma “Il mio amico vende il tè” lo ha trasformato in un poeta vero e proprio. Quel tè ci manca per movimentare la nostra grigia vita ed è, probabilmente, lo stesso che ha causato la scomparsa dalle scene di questo gaudente ragazzo di 2 metri.

 

#9, Gattomatto, Roberto Angelini.

Commentano sul video di YouTube: «La canzone è sul gatto, il video è sulla topa. Bella Angelì!» Il gennaio 2003 è stato segnato dalla morte di Giorgio Gaber ma Lucio Dalla, e altri mostri sacri, erano ancora in vita per assistere all’uscita estiva di Gattomatto, diventato un successo umanamente riconosciuto. Trasformato in un tormentone ha costretto a cambiare ossessivamente stazione radio chi, non avendo ancora abbastanza soldi nella paghetta per comprarsi il singolo,  voleva registrarla. È la vittima più comprensibile dell’oblio in cui è finita.

 

 

#10, Vero Falso, Paolo Meneguzzi.

Tutte le estati, soprattutto quelle dell’adolescenza, sono il passaggio fra un amore che inizia e uno che finisce. La prima volta che abbiamo visto Paolo Meneguzzi salire su un palco abbiamo cambiato canale, la seconda volta volevamo rinchiuderci in un convento per evitare di poter tradire qualcuno. Dal significato subliminale e parecchio enigmatico ci costringe a risvegliare un mostro sacro che forse nessuno doveva rispolverare. Con questa canzone Paolo Meneguzzi ha confermato che il 2003 è stato un anno di incredibili soddisfazioni che, questo Gigi D’Alessio del norditalia, continua a darci.

 

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