Dietro ai forconi

Le rivoluzioni non si fanno con i forconi o, almeno, quelle che puntano a qualcosa di più di una semplice caccia alle streghe che, visto che non siamo più nel medioevo, sono diventati abitanti dei palazzi. La superstizione, nonostante siano passati cinque o sei secoli da quei tempi bui, è rimasta la stessa. Tempi bui chiamano altri tempi bui e, così, non c’è da sorprendersi se ritornano i bracci tesi, i roghi dei libri e se Grillo si erige a moderno Ignacio de Torquemada e continua ad alimentare la rabbia. Questi personaggi ci sono sempre stati, e la mancanza di lavoro insieme alla fame di potere soffiano su un braciere pronto a incendiarsi. E così Torino brucia come un paesino francese del 1450 e le autostrade si bloccano con delle moderne carrozze. E i poliziotti si tolgono i caschi e si uniscono alle proteste, perché quando Giovanna d’Arco è stata bruciata le guardie, forse, picchiavano il popolo?

I forconi sono ritornati, branditi da uomini che, per fortuna, hanno ancora qualcosa da perdere e non si spingono più in là delle semplici proteste, ma il clima pieno di piombo e di stragi sembra lentamente tornare a configurarsi. Gli anni di piombo, però, venivano da altri periodi, quelli delle proteste che stringevano libri e fiori, che guardavano più avanti del semplice brontolio di stomaco. Ed era più prevedibile che le richieste, se non ascoltate, potessero prendere in qualcuno una piega violenta. In questi forconi invece la rabbia è cieca e imprevedibile, in attesa che venga sfruttata da qualcuno più lungimirante dei suoi componenti. E, ancora una volta, si ritorna indietro nel tempo. Alle camicie nere, che anche loro erano un branco di arrabbiati, e al loro capo. Forse due conti bisogna iniziare a farseli.

Non saranno loro a rovesciare le carte in tavola, Montecitorio non sarà la nuova Bastiglia. Questo non significa, però, che il pericolo sia passato. L’uomo forcone continuerà a esistere, come i fascisti dopo l’armistizio, e altri se ne continueranno ad aggiungere, e non potremo più dire che non sapevamo nulla. L’uomo forcone è un uomo qualunque, lo stesso a cui faceva appello Grillo in campagna elettorale, quello stanco della solita politica, affossato dalle bollette dell’Enel e senza futuro. È un uomo pronto a rivoltarsi, quando non avrà più nulla da perdere, e sarà in balia degli avvenimenti, e il primo che sarà abbastanza convincente da inglobarlo nel suo movimento, lo farà. Un moderno Gattopardo, che vuole cambiare tutto non più per cambiare niente, ma perché non ne puòpiù. Ma le rivoluzioni non le fanno mai quelli che tornano a casa dopo otto ore di lavoro o che se ne stanno sempre nella propria stanzetta, ma quelli che frequentano i bar e, con una birra di troppo in corpo, si mettono a scrivere dei libri sulla propria idea di battaglia. La superstizione che incendiava i gatti neri non è stata ancora smaltita. Gli uomini che hanno minacciato, urlato e brindato un po’ dappertutto in Italia non sono quelli per il dialogo né quelli per la cultura, perché oltre all’idea di buttare giù tutti i palazzi non si va oltre. Le rivendicazioni di cui si fanno portatori sono quelle della rabbia e della frustrazione, così generali (e vere) che possono raccogliere adesioni dappertutto, come il movimento di Grillo. Lo stesso che crea una lista di giornalisti scomodi, che pubblica gli indirizzi dei parlamentari in disaccordo e, l’unico, a venire risparmiato dalle urla dei forconi. La pasta, nella maggior parte dei casi, è la stessa e piuttosto avariata.

Foto – LaPresse

I capetti di questo movimento, vadano in giro in Jaguar o esaltino l’italianità prima di tutto, altro non sono che i rifiuti generati da una politica insoddisfacente e di cui sono state denunciate tutte le degenerazioni. In questo, in qualche modo, rientra anche l’elezione di Renzi a nuovo segretario del Partito Democratico. Lui è stato, infatti, fra i primi a muovere attacchi contro la politica vecchia e d’apparato, prendendo il malcontento verso i vertici dirigenziali e inconcludenti per erigersi a possibilità migliore. Il fatto che abbia vinto solo alla seconda candidatura la dice lunga su quanto difficile sia il passaggio verso il ‘nuovo’, nonostante le pretese della gente, anche dentro una realtà più limitata come quella di un partito. Ma il PD del futuro non sarà la nuova sinistra lavoratrice, capace di interessare la parte più dura della popolazione e rendere solida la società più scontenta, dandole qualcosa in cui sperare in un futuro migliore. Sarà, invece, quella del dopo Berlusconi che, vista l’impossibilità di batterlo, ne ha copiato le tecniche. Ad aver ingrandito la rabbia e la disillusione dei forconi ci sono anche le promesse e i sogni berlusconiani mai mantenuti, che hanno lasciato soltanto diffidenza nelle istituzioni e una sfiducia pressoché totale nella politica. Renzi avrà davanti questo compito, raccogliere i cocci di una società distrutta dalle false promesse e dovrà distinguersi, smettendola di far nascere speranze per poi tradirle. Forse il PD vincerà anche le prossime elezioni ma potrebbe essere troppo tardi, perché il sottile filo che tiene dentro i suoi ranghi la società italiana è sempre più in procinto di spezzarsi e riversare sulle strade tutta la rabbia che sta covando dentro da tempo. E se Renzi, ma anche tutte le correnti di partito intestine, non sapranno dare una alternativa concreta ai forconi, vedere come andrà finire sarà più doloroso di quanto potremmo pensare.

Le rivoluzioni non si fanno con i forconi ma, per la violenza ingiustificata e cieca, sono abbastanza. E quando saranno caduti i palazzi, quando i figli si tramuteranno in picchiatori senza saper perché o in vuote amebe senza desideri con una tessera in tasca, saremo tutti coinvolti. Tutti i re e i baroni di questa Italietta saranno caduti ma, ancora una volta, potremo gridare viva il re.

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