Viaggio tra i disegnatori italiani | Intervista a Mattia Surroz

Sempre più attratti dal mondo del fumetto e dell’illustrazione, abbiamo intervistato il disegnatore valdostano Mattia Surroz in occasione della mostra Di sirene e di altri mali visitabile fino a domani all’OFF TOPIC di Torino. Noto come autore per Topolino dal 2015, ha pubblicato anche diverse graphic novel, tra cui La nebbia e il granito, Negli occhi il cinema, nelle mani l’amore e Il suono della sirena. Quest’anno ha pubblicato L’ultimo tramonto, scritto da Marco Rincione, nel nuovo progetto Timed targato Shockdom ed è ora al lavoro su un nuovo titolo di Audace, la nuova etichetta di Sergio Bonelli Editore in coppia con Paola Barbato.

Cresciuto tra i monti della Valle d’Aosta, hai iniziato a pubblicare le tue vignette sui giornali locali all’età di 17 anni. Quando hai capito che la tua passione sarebbe diventata un lavoro?

Non saprei identificare un momento preciso, semplicemente non mi sono mai dato alternative, ho sempre pensato, sin dall’infanzia, che questo doveva essere il mio lavoro. Non importava quanto fosse dura arrivarci, quanti tentativi dovessi fare, quanti sacrifici, o quanto durasse la gavetta.

Da diversi anni collabori con Topolino realizzando fumetti senza tempo. Da lettore accanito durante l’infanzia a disegnatore prolifico in età adulta, come è cambiato l’immaginario della rivista, partendo dalle influenze che derivano dalla società fino ad arrivare agli elementi di innovazione che hanno permesso di sostenere il progetto nel corso degli ultimi anni?

Topolino è sempre stato al passo coi tempi, è nella natura stessa del giornale. Quando ero piccolo, Zio Paperone mandava i fax, ora Qui, Quo e Qua navigano in rete, per fare un esempio. È nel fatto che siano universali, la bellezza assoluta dei personaggi Disney. Possono interpretare qualunque storia, esplorare qualunque genere, insomma, anche Topolino è un po’ uno specchio del tempo che viviamo.

Quali sono i tuoi principali punti di riferimento artistici (contemporanei e non)?

Io sono cresciuto ossessionato dall’opera di Cavazzano. Fu quella la miccia ad accendere tutto. Ai tempi del liceo mi innamorai della Secessione Viennese, poi presi a leggere tutto quello che mi capitava sotto mano, era chiaro che fosse il fumetto, la mia lingua. Ricordo ancora lo scompiglio provocato dalle prime letture dei libri di Andrea Pazienza, o di Gipi, per esempio, ma non ho veri punti di riferimento, anzi forse ne ho troppi per poterli citare.

Essere un illustratore oggi è molto diverso rispetto a venti o anche soltanto a dieci anni fa. Basta fare un giro alle fiere del fumetto, passando dal Lucca Comics & Games al Napoli Comicon o guardando le fiere dell’editoria tradizionale come il Salone del Libro di Torino che si è da poco concluso e i tanti nuovi spazi dedicati agli stand e alle presentazioni delle case editrici specializzate in graphic novel. Si tratta di un fenomeno temporaneo o, secondo te, si è riusciti a creare un movimento coeso che guarda al futuro?

Girando per fiere si ha questa piacevolissima impressione che in Italia tutti leggano, vedere gente che fa code di ore per farsi dedicare un albo pare la norma. È certo che ormai leggere fumetti sia diventato, anche se con un ritardo deplorevole, mainstream. Non direi che si è creato un movimento, credo piuttosto che anche in Italia si è cominciato a capire che il fumetto è un linguaggio, come il cinema, e che quindi ci si possa trovare l’equivalente dei Vanzina, o di Aronofsky. Voglio dire, ora i fumetti vengono giustamente candidati ai premi letterari , direi che i tempi in cui ci si lamentava perché il fumetto era considerato un’arte minore (in Italia, almeno) siano finiti.

Fino al 29 maggio, all’interno dello spazio espositivo di OFF TOPIC, il nuovo locale torinese a pochi passi dalla Mole Antonelliana e dal quartiere Vanchiglia, è possibile visitare la tua mostra Di sirene e di altri mali, una personale dove incontrare molti animali mitologici, sirene e centauri in primis, esseri inquietanti e allo stesso tempo seducenti nell’aspetto. Chi rappresentano queste creature e a cosa ti sei ispirato per realizzarle?

Mi piace proprio il concetto di “né carne né pesce”, la dualità, la doppiezza. Le sirene sono una mia passione da sempre. Ne ho sempre disegnate per il semplice gusto di farlo, fino a trovare una mia interpretazione di questi esseri mitologici. Mi escono sempre distanti, distratte, non sanno di essere osservate, e quando capita, si rivelano poco rassicuranti. Perché sono pericolose, le sirene che disegno. Non solo perché probabilmente sono carnivore, quanto perché cantano, dicono la verità, ed è impossibile fuggire al loro canto. Rappresentano questo, almeno per me, la necessità di obbedire alla nostra vera natura e ai nostri sogni, una voce che se viene zittita, ci spegne. Mi diverte che siano molto belle, sinuose, ma che facciano anche un po’ paura, con i loro occhi neri come gli squali.

Nel giorno conclusivo della mostra sarai presente all’OFF TOPIC per un A tu per tu con l’artista. Cosa dobbiamo aspettarci da quest’incontro?

Sicuramente una chiacchierata sincera, la possibilità di togliersi qualche curiosità sul mio mestiere, su quello che disegno, e quasi per certo un’improbabile camicia.

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