Cinque documentari sulla scena indipendente italiana

Nel nostra paese è sempre stato difficile parlare di scene senza rischiare di fare qualche errore o cadere in un qualche tipo di nostalgia. Fra gli anni ’80 e la metà del ’00 questa situazione era determinata dalla casualità con cui, in un’era prespotify, si accedeva al consumo musicale. Si cercavano di ascoltare le chiacchiere al bancone del negozio di dischi fra il proprietario e i clienti, ci si immergeva in ore e ore di zapping radio e si consumavano cd masterizzati in casa che si ricevevano per posta o da un amico con il cugino più grande. Era un modo diverso, non necessariamente migliore, per approcciare i sottoboschi che avevano trasformato l’Italia di quegli anni. Questi gruppi, queste cellule alternative, vivevano sparsi da nord a sud, costruendo a regioni di distanza un legame profondo che aveva permesso a una quantità notevole di gruppi e musicisti di girare per concerti o condividere la propria passione attraverso scambi e battute. Se si trasformava in lotte silenziose, sguardi torvi e squadrate fra estranei era per una questione di esclusività che la militanza musicale di quegli anni imponeva. I documentari in questo articolo raccontano, ognuno a loro modo, una storia differente ma tutte legate dallo stesso modo viscerale di vivere la musica da entrambi i lati del palco.

Fedele alla linea

Italia, 2013, 78 min. | Regia di Germano Maccioni

 

 

Da qui è iniziato un po’ tutto, e non dalle città ma dalla montagne, dalla provincia più complessa e chiusa. C’è stato un periodo in cui l’Emilia doveva sembrare proprio Berlino, in cui i grandi campi a fianchi delle autostrade, ancora più sterminati di adesso, creavano una specie di muro fra il centro e la provincia. Ma è nella grande capitale tedesca che si incontrano per la prima volta Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, due ragazzi di Reggio Emilia (uno del centro l’altro della montagna), che fonderanno i CCCP, prima, e i CSI, poi, diventando progenitori di gran parte di quello che ascolteremo dopo. In Fedele alla linea Germano Maccioni decide di raccontare dal punto di vista di Giovanni Lindo, la nascita e l’evoluzione della band, il passaggio ai CSI, la malattia e la conversione. Una chiacchierata in cui Giovanni Lindo si confessa e racconta l’infanzia, gli anni berlinesi e la sua ultima evoluzione di uno degli artisti più interessanti della nostra musica che si completa naturalmente con 30 anni di ortodossia in cui è Massimo Zamboni a raccontare.

 

RMHC – 1989/1999

Italia, 2012, 76 min. | Regia di Giulio Squillacciotti 

 

 

Sono serviti cinque anni di ricerche, interviste e recupero di filmati per permettere a Giulio Squillacciotti (insieme ad Alessandro Giordani) di raccontare l’incredibile storia della scena hardcore romana del decennio ’89-’99. RMHC è il racconto sentimentale di una scena da un punto di vista interno che segue non solo l’evoluzione musicale ma si concentra sulle testimonianze dell’ambiente, dai musicisti agli spettatori. È proprio il senso di appartenenza, la voglia di identificarsi in un ambiente preciso, a diventare il centro del documentario, dove i concerti diventano piano piano delle riunioni famigliari, tra amici, botte e sudore.

 

Il punk italiano

 

 

Non deve sorprendere che il punk sia il sottobosco con più testimonianze a ‘posteriori’, il movimento è sempre stato uno di quelli in cui si raccontava di più, in cui nascevano e morivano fanzine quasi ogni settimana. Uno stile che fu una ribellione vera e propria, nata negli anni ’80 e arrivata fino alla metà del duemila, con la capacità di rinnovarsi e creare i propri sottoboschi specifici. Ce ne sono bene tre da consigliare Italian Punk Hardcore 80-89, Punk Italiano Le Radici 1977-1982 e La Scena che permettono di comprendere bene le tre epoche del punk italiano, la sua nascita (’77-’82), il suo sviluppo più hardcore, e, infine, l’esplosione dell’oi-punk cantato in italiano.

 

Il rockumentary sugli Offlaga Disco Pax

Italia, 2008, 55 min. | regia di Pierr Nosari

 

 

Gli Offlaga Disco Pax hanno segnato l’indie italiano del duemila con un tratto particolare, leggero, sensibile (direbbe qualcuno), per la loro capacità di unire uno storytelling particolare, a tratti crudo ma anche ironico, a una musica sperimentale e d’avanguardia, tanto buttare l’ascoltatore immediatamente ‘dentro’ alla canzone, alla storia, alla musica, da non sapere più chi fosse il narratore, se quello con l’accento emiliano di Max Collini o il moog e il basso di Enrico Fontanelli e Daniele Carretti. Il rockumentary girato da Pierr Nosari, è un viaggio nella toponomostica degli Offlaga, nell’esperienza diretta che ha fatto nascere le loro canzoni e in cui sono cresciuti, negli attimi prima di un concerto all’Hana Bi di Ravenna e dentro lo studio mentre registrano Bachelite.

 

Conquiste

Italia, 2014 | Regia di Diego Zicchetti

 

Forse tutto sta proprio qui. Nel 2014 usciva Conquiste, il documentario con cui Diego Zicchetti ci portava in mezzo a facce note (TARM, FASK, Havah, Cosmetic) per mostrarci uno spaccato che non è molto cambiato. Ci permette, in realtà, di capire con il senno di poi proprio i cambiamenti che sarebbero avvenuti da lì a un anno con le uscite di Mainstream  di Calcutta e Aurora de I Cani e l’improvvisa esplosione dell’itpop, una sorta di anno zero in cui – inevitabile dirlo – si è assistito a uno stravolgimento importante, un cambio della guardia così repentino che nessuno aveva previsto. Era già il periodo in cui si separavano grandi nomi, in grado di fare grandi numeri, e le realtà più piccole tendevano ad atomizzarsi e a scomparire che si riassume nelle parole lapidarie di Michele Camorani degli Havah.

 

 

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