Elezioni europee: 3 buoni motivi per disperarsi

1. In Italia, certe tattiche continuano a funzionare, e ad espandersi.

Credit: fattoquotidiano.it

Il trionfo di Renzi e del PD va riconosciuto, ovviamente, ma questo non significa che la loro sia una vittoria della sinistra italiana. Per questioni di leadership, e per molti altri motivi, il paragone con il PCI trionfante alle elezioni del 1984, subito dopo la morte di Berlinguer, non può reggere. Non nascondiamocelo, la vittoria di Renzi dipende in maniera molto maggiore dalle sue promesse, piuttosto che dagli ideali e dalle proposte che ha presentato durante la campagna elettorale (a meno che non consideriate fondamentali gli hashtag “#cambiaverso” e “#Italiariparte”).

Qual è stato il vero punto di svolta che ha portato il PD alla vittoria? La decisione, o meglio, la promessa da parte del Governo di estendere il bonus degli 80 euro, al contrario di quanto previsto inizialmente, ai pensionati, sottovalutato punto focale della politica nel nostro paese. Geriatria al potere, insomma.
Per capire l’importanza del voto “maturo” in Italia, basta guardare alle scelte dei due principali rivali di Renzi: Grillo è dovuto capitolare di fronte alle grottesche poltrone di Bruno Vespa e al suo bacino di spettatori over-65, con il telecomando troppo lontano dalla poltrona, mentre Berlusconi ha rispolverato le promesse elettoral-odontoiatriche già presentate in passato.

Ecco, la dentiera ci riporta al nocciolo della questione: c’è poi tanta differenza tra il promettere visite veterinarie e “social card”, benefiche svalutazioni post-uscita dall’Euro, e 80 euro in busta paga? Penso, e spero, che questa sia una domanda retorica. No, non credo che oggi abbia vinto la sinistra in Italia, né che Renzi possa essere il nuovo Hollande per l’Europa. Piuttosto, forse questa verrà ricordata come la giornata in cui i riformisti hanno scelto di rinunciare alla loro presunta, ostentata superiorità morale, scegliendo di adeguarsi al tenore e alle tattiche proprie del dibattitto politico attuale. Se è stata una scelta giusta o sbagliata, è presto per dirlo, anche se quel 40% di voti ottenuto non sembrerebbe lasciare spazio a dubbi.

 

2. In Europa, dilagano gli anti-euro e le destre più estreme.

Credit: Francois Guillot/AFP/Getty Images

Per una volta, è stata l’Italia a fornire un sospiro di sollievo ai mercati. Il successo del PD, che lo rende il partito riformista più rappresentato ne Parlamento Europeo, è infatti in controtendenza rispetto alla situazione nel resto del continente.
Il Front National di Marine Le Pen è primo in Francia, così come l’UKIP di Farage in Gran Bretagna. Se non bastasse poi, i neonazisti potrebbero conquistare un seggio in Germania e sono il secondo partito nella “democratica” Ungheria di Orbàn. Insomma, le forze anti-Euro, in tutte le loro declinazioni, hanno triplicato i loro seggi, raggiungendo quasi il 30%.

Quali saranno le conseguenze di questa affermazione? Probabilmente, una replica, spinta dal terrore, e quindi più rigida e agguerrita, della grosse koalition tra Popolari e Socialisti che ha guidato l’Europa negli ultimi cinque anni. Diventa quindi sempre più difficile, nell’ottica del compromesso politico e della continuità, abbandonare le politiche di austerity che quella coalizione ha promosso fino ad ora, seppure con sempre minor convinzione.

La speranza è che, aiutati dalla grande maggioranza di cui ancora possano godere, PSE e PPE comprendano le vere motivazioni dietro all’esito di queste elezioni, scegliendo di dare una svolta alle politiche comunitarie e accontentando le richieste che accomunano euroscettici e delusi di ogni schieramento.

 

3. In Italia, non si è riusciti ad esprimere un’idea di Europa.

Credit: Steve Parsons/PA

Per quanto possa essere preoccupante la chiara affermazione degli anti-Euro nel resto d’Europa, resta da capire quanto questo risultato sia peggiore di quello, indecifrabile, ambiguo e, soprattutto, provinciale emerso in Italia. Se in apparenza il paese appare diviso in due metà quasi perfette, gli europeisti da un lato (PD, Tsipras, NCD), gli scettici dall’altro (M5s, Forza Italia, Lega), non si può dire con certezza se questa semplificazione rispecchi appieno la realtà.

Quanti, infatti, sono andati ai seggi per sostenere Schultz o Juncker alla Commissione Europea? E quanti, invece, hanno voluto giocare ad una sorta di “fanta-parlamentari”, in cui i veri protagonisti erano i soliti volti noti della politica italiana? Ancora una volta, l’Europa è rimasta fuori dalle sue stesse elezioni.
Il ruolo dei candidati, sia quelli locali che i loro corrispettivi alla Commissione, è stato praticamente nullo in questi mesi (con la notevole eccezione di Alexis Tsipras): la campagna elettorale a cui abbiamo assistito in Italia è stata totalmente rivolta al proprio ombelico, forse anche a causa della disperata ricerca dell’espiazione dal “peccato originale”, della mancata legittimità elettorale del Governo Renzi. Il risultato? Semplice e paradossale: i partiti rivolti alle tematiche europee di lungo periodo, più che alle magagne interne, sono stati quelli antieuropeisti (Lega) e fortemente critici (Tsipras). Le scelte degli altri sono state strumentali ai fini politici immediati e locali, non a comprendere quale idea di Europa avesse il proprio elettorato.

Potranno piacerci o no le loro scelte, ma in Francia e in Gran Bretagna gli elettori hanno risposto in maniera netta e chiara alle posizioni altrettanto nette e chiare dei loro partiti di riferimento. Chi ha scelto di votare Le Pen, ha scelto esplicitamente di votare contro l’Europa e contro Schengen. Possiamo dire con la stessa certezza che l’elettore che ha votato PD o Forza Italia lo abbia fatto per rafforzare l’Unione? Non ne sarei così certo, se in realtà era convinto di partecipare ad un’altra elezione.

Cover credit: Tom Maddick/Ross Parry

Exit mobile version