Tutta l’energia dei Dunk al Sound Music Club di Napoli

In un mercato in evidente crisi ma nonostante questo ricchissimo di nuove e continue uscite discografiche, la musica dal vivo ha assunto, negli ultimi anni e soprattutto nei circuiti indipendenti, un ruolo di primaria importanza. Andare in giro per locali, cercare in rete gli appuntamenti con i musicisti sui quali siamo disposti a scommettere il prezzo del biglietto è l’unico modo per orientarsi nel mare magnum delle nuove uscite e dei tanti progetti che con diversa fortuna e, soprattutto, con diverso merito attraversano lo stivale in lungo e largo. Con produzioni che ascoltiamo distrattamente, immersi in altre faccende o che poco ci colpiscono a un primo e spesso obbligato unico ascolto, il live rappresenta ancora, per tutti quei musicisti che hanno la capacità di comunicare qualcosa, la carta da giocare, mentre per chi si trova a un loro concerto, l’opportunità improvvisa e inaspettata di lasciarsi coinvolgere dalla bellezza. Quale che sia il motivo per cui ci si trova a una certa ora in un locale (se siete a Napoli o nella sua sterminata provincia sarà di sicuro un’ora tarda); che siate arrivati sotto le casse di un palco perché amate quei musicisti, perché qualcuno vi ha convinto che meritavano un ascolto o semplicemente perché magari amate quel posto e avete imparato a fidarvi della direzione artistica, in ogni caso allo spegnersi delle luci in sala e all’accendersi di quelle sul palco potreste assistere a uno dei sempre più rari momenti in cui la magia può ancora accadere. È successo sabato 24 febbraio al Sound Music Club di Frattamaggiore, già teatro di un inaspettato e incredibile concerto di Andrea Lazlo De Simone sul finire dello scorso anno. A salire sul palco sono stati invece, stavolta, quattro musicisti della stessa casa discografica, la Woodworm Label: sono i Dunk, progetto nato sull’asse Brescia-Bergamo dai due fratelli Giuradei alla chitarra, voce e tastiere e dalla batteria leggendaria di Luca Ferrari dei Verdena insieme al tocco aggiunto dalla Sicilia del chitarrista dei Marta sui Tubi, Carmelo Pipitone.

Siamo arrivati al locale sulla scia di un presentimento: che il disco dei Dunk, ascoltato in queste settimane, nascondesse una serie di possibilità, di sfumature, di ulteriori e più ramificate intenzioni da affidare al tempo e alle scelte dei musicisti che solo la dimensione dal vivo avrebbe potuto mostrare. Quella speranza, in fondo nemmeno così velata, non è stata semplicemente attesa ma è andata di là da ogni più rosea previsione. Perché i quattro a dirla tutta avrebbero avuto il diritto, a fine concerto, di staccare il palco e portarselo a casa tanta è stata l’energia, la serietà, l’entusiasmo, la grinta, l’intelligenza musicale con cui hanno affrontato un’ora scarsa di concerto come un pugno tirato dritto allo stomaco di un pubblico esterrefatto per l’intensità con cui è stato riproposto dal vivo il loro omonimo album d’esordio.

L’Intro apre delicatamente il concerto con Ettore Giuradei che snocciola alla chitarra e alla voce il suo rosario di parole e note. È un’introduzione ingannevole che viene bruscamente interrotta dall’energia scatenata da Ferrari e Pipitone all’inizio di Avevo voglia, dal piglio quasi punk nel continuo incedere del ritornello strumentale che spezza il cantato breve di Giuradei. La scaletta ripropone lo stesso ordine del disco e tocca subito, dunque, a uno dei pezzi più belli del disco, Mila, col suo inizio sospeso a richiamare le grandi atmosfere dei Pink Floyd tra il suono liquido delle tastiere e le chitarre acustiche. È una classica ballata d’amore che si contraddistingue per il songwriting essenziale ed efficace di Ettore Giuradei e che, tra parole e stacchi ritmici, si risolve felicemente sul finale in una coda strumentale che fa emergere, come in un dualismo continuo, le due anime della band. È altro, primo singolo pubblicato, si muove su ritmi molto più frenetici, con Ferrari a tenere il ritmo col jam block, e ripropone le esplosioni di velocità post punk sui ritornelli strumentali fino all’inciso parlato del pezzo che richiama proprio i Marta sui Tubi di Pipitone. Colpisce fin da subito l’equilibrio dei quattro, il bilanciamento dei suoni, condizione essenziale per la coabitazione sul palco di quattro personalità musicalmente differenti.

Spino gioca con tempi molto più frammentati, con cambi continui che alternano un incedere quasi funk a un cantautorato più classico fino ancora a un’ulteriore esplosione controllata dalle escursioni sonore di Marco Giuradei alle tastiere e ai synth. Rispetto alla prima uscita della band, al Riverock della scorsa estate, si viene travolti dall’affiatamento dei quattro sul palco, dall’energia, dalla potenza e dalla consapevolezza attraverso le quali dilatano i brani del disco sui quali cuciono una veste sicuramente più rock ed elaborata con Carmelo Pipitone alla chitarra che sembra il capitano ebbro di un battello che prova a tenere dritto il timone in balia dei rovesci generati dalla furia di Luca Ferrari alla batteria.

Ballata 1 si apre proprio con Ferrari che suona la batteria con il palmo delle mani e con Giuradei a raccontare di partenze e addii mentre Pipitone disegna arabeschi alla chitarra. Ferrari batte ancora il tempo con grancassa e charleston conducendo a un finale in cui la tensione si scioglie dentro un inedito tribalismo percussivo con Marco Giuradei a costruire un tappeto di sirene al synth.

Amore un’altra è, invece, una cavalcata rock dominata dalla foga di Ferrari e dall’incedere di Pipitone con i continui cambi di tempo che sono la vera forza di un pezzo che esalta le capacità tecniche dei quattro mentre Marco Giuradei costruisce un finale che sa quasi di prog.

La voce e gli accordi di chitarra di Pipitone segnano l’ingresso di Stradina, uno dei pezzi più originali del disco, lasciando il passo alle percussioni quasi grunge fino all’ingresso della voce di Ettore Giuradei con la sua filastrocca sghemba come i tempi dispari della batteria di Ferrari mentre Pipitone si dedica a un incessante finger tapping. Ferrari, consapevole del suo istrionismo percussivo mai gratuito o fuori contesto, regala momenti di autentico entusiasmo tra il pubblico: la folla accorsa stasera a lasciarsi sorprendere dell’incredibile energia della band urla a gran voce il suo nome e non solo per la sua carriera personale con i Verdena ma per un’innata capacità di stare dietro le pelli e una straordinaria performance scenica che gli consente di attrarre su di sé gli occhi di tutto il pubblico.

In mezzo a tanta potenza, Ballata 2 non si può certo dire che abbassi i toni ma offre, certamente, una maggiore ariosità alla musica grazie ai suoi tempi più canonici. È, evidentemente, come suggerisce il titolo, una classica ballata rock e in quanto tale non rinuncia affatto a un finale travolgente. Arriva a sorpresa la cover di Subterranean Homesick Alien dei Radiohead da OK Computer. È una cover non scontata non solo perché sembrerebbe eludere le ascendenze musicali dei quattro ma perché suonata con un tiro più rapido e veloce rispetto all’originale, quasi a volerle donare maggiore forza e virilità, finendo col diventare, così, quasi manifesto dell’approccio alla musica di un supergruppo nato dalla voglia di suonare insieme e di mettere sul palco passione ed energia, alla ricerca di un suono che risulta essere forte, immediato, diretto e istintivo.

Noi non siamo, secondo singolo, è certamente il brano più à la Marta sui Tubi del lotto, e beneficia infatti della grande introduzione mediterranea affidata ça va sans dire a Carmelo Pipitone che la trasforma in una danza sfrenata fino all’esplosione finale con Ferrari a picchiare duro sulla batteria.

Ma è l’outro finale a lasciare il pubblico a bocca aperta: Intermezzo, infatti, che su disco occupa appena un minuto diventa qui jam session senza confini con il synth che si fa ipnotico in un’atmosfera quasi sacra con Pipitone inginocchiato a terra a roteare testa e occhi come immerso nell’estasi e Ferrari che regala al pubblico un ultimo, lunghissimo, indimenticabile assolo. L’energia è talmente forte, la tensione così palpabile da disegnare sui volti di tutti presenti un’espressione d’incredibile stupore.  Al punto tale che dopo le ultime note suonate da Ettore Giuradei, mentre i musicisti scendono dal palco e dal pubblico salgono commenti sorpresi ed entusiasti, nessuno si azzarda a chiedere un bis consapevole che nulla si potrebbe aggiungere alla perfezione del momento.

Tutte le foto sono di Serena Mastroserio

Scaletta:

  1. Intro
  2. Avevo voglia
  3. Mila
  4. È altro
  5. Spino
  6. Ballata 1
  7. Amore un’altra
  8. Stradina
  9. Ballata 2
  10. Subterranean Homesick Alien (Radiohead Cover)
  11. Noi non siamo
  12. Intermezzo
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