Essere Kanye West: dagli esordi a Yandhi

NEW YORK, NY - FEBRUARY 11: Kanye West performs during Kanye West Yeezy Season 3 on February 11, 2016 in New York City. (Photo by Dimitrios Kambouris/Getty Images for Yeezy Season 3)

23 Ottobre 2002
“I spit it through the wire man / There’s too much stuff on my heart right now, man / I’d gladly risk it all right now / It’s a life-or-death situation, man” (Kanye West, “Through the Wire“).

Un venticinquenne Kanye Omari West da Chicago, figlio di una professoressa universitaria e di un ex militante delle Black Panthers e fotogiornalista, si schianta a bordo della sua auto. L’incidente è abbastanza grave: la sua mascella fratturata ha bisogno di essere ricostruita. Kanye ha da poco firmato con la Roc-a-Fella Records, la label di Jay-Z: è un giovane produttore in rampa di lancio, i suoi sample di gemme nascoste del soul e del gospel mandate a velocità aumentata (il cosiddetto chipmunk soul) sono il suono del momento, tanto che l’anno precedente se ne è servito il boss in persona, Jay-Z nel suo Blueprint.

Kanye torna a parlare dell’incidente nel suo primo album, The College Dropout (2004). È in “Trough the Wire” (che utilizza un sample di “Through the Fire” di Chaka Khan) che apprendiamo della sua bocca chiusa, cucita da un filo; una bocca da cui escono comunque versi che è impossibile tenere dentro, tanto chiedono di uscire. E’ un terremoto. Un giovane produttore di estrazione borghese, che ha studiato pittura e letteratura, entra in un mercato monopolizzato dal gangsta rap, da tutt’altre storie. E lo fa a modo suo. con un sound vintage ma all’avanguardia, con versi che parlano della propria interiorità, di religione, del college e dei soldi necessari per studiare. Da una bocca sprangata esce una voce nuova, Kanye West inizia il suo percorso. Chi esordirebbe mai cantando con una mascella fratturata?

2 Settembre 2005
“George Bush doesn’t care about black people.” (Kanye West, A Concert for Hurricane Relief, NBC).

Tremante e in affanno, davanti a 8 milioni e mezzo di telespettatori. Il conduttore Mike Myers lo guarda esterrefatto, poi la telecamera stacca. In basso sullo schermo, il numero della Croce Rossa, cui rivolgere le donazioni. Siamo nel post-Katrina, e un Kanye visibilmente scosso conclude così, sovrastando Myers, il suo appello per aiutare la gente coinvolta, un appello accorato e personale, in cui denuncia sociale -“I hate the way they portray us (le persone di colore, NdA) in the media“- e megalomania -“I’ve even been shopping before even giving a donation“- già si intrecciano. Criticato pubblicamente dal Presidente in persona, lo studente dell’hip hop inizia la sua trasformazione in personaggio pubblico controverso.
Questo exploit segue la pubblicazione del suo secondo lavoro, Late Registration, 8 nomination ai Grammy, un trionfo. L’ambizione compositiva è evidente nell’utilizzo di un’orchestra d’archi, nella collaborazione col compositore cinematografico Jon Brion, in sessioni infinite in studio. Kanye West non ha paura di confrontarsi con mostri sacri come Ray Charles (“Gold Digger” campiona la sua “I got a Woman) o Curtis Mayfield (“Move on up” nella hit “Touch the sky“), o addirittura con le colonne sonore, in questo caso di James Bond (“Diamonds from Sierra Leone“). Il suo lavoro di digger di classici riscoperti è qui all’apice. Quello di direttore d’orchestra wagneriano è appena all’inizio.

Febbraio 2006
How he went from being a nerdy Midwestern kid with braces to become the most provocative pop star in America.” (Lola Ogunnaike, The Passion of Kanye West, Rolling Stone, Febbraio 2006).
“Awesome, the Christian in Christian Dior / They don’t make ‘em like this anymore” (Kanye West, “Stronger“).

Fede, soldi, status, polemiche. Nel 2006, Kanye si fa ritrarre con una corona di spine in testa per la copertina del numero di Febbraio di Rolling Stone. Re o martire? Autocelebrazione o penitenza? Le tracce del suo terzo disco, Graduation, uscito l’anno dopo, fanno propendere per la prima ipotesi. Tutto il lavoro è un’esplosione di synth e tastiere, una sequenza di anthems piacioni e irresistibili come la famosissima “Stronger” che campiona nientemeno che i Daft Punk. È un’ulteriore trasformazione della musica di Kanye West: dal soul all’elettronica, dal gospel all’arena-rock. L’hip hop scopre di poter spostare i propri confini ancora un po’ più in là, e che i gangsta sono ormai fuori tempo massimo: uscito nello stesso giorno, Curtis di 50 Cent vende 100 mila copie in meno al debutto.

Novembre 2007
“Chased the good life my whole life long / Look back on my life and my life gone / Where did I go wrong?” (Kanye West, “Welcome to Heartbreak“).

Welcome to heartbreak. Benvenuto(i) nel cuore spezzato. Se si stia rivolgendo a se stesso, al pubblico, o all’hip hop fa poca differenza, in quel gioco di specchi che è la carriera di Kanye West. Se finora la sua opera è stata una continua rifrazione tra il suo io (ego?), la dimensione pubblica e quella artistica, in 808s & Heartbreak la parete è definitivamente abbattuta. Nessun filtro ora attraverso i tòpoi tradizionali del rap. Il cuore spezzato fa il suo ingresso nella vita privata di Kanye dopo la morte di sua madre e il breakup con la fidanzata Alexis Phifer, nel 2007; allo stesso tempo, il suo cuore spezzato viene mostrato al pubblico in una serie di canzoni autoriflessive come mai prima, e al mondo dell’hip hop, che inizia a conoscere la solitudine e ad accettarla come un valore (citofonare, ad esempio, Drake). Al Letterman di quell’anno un Kanye sull’orlo del collasso nervoso, nascosto da occhiali neri, riesce a stonare “Love Lockdown” con l’autotune. Se non c’è filtro nei contenuti, c’è -eccome- nella forma: in tutti i pezzi, la voce è mascherata dall’autotune, che insieme ai synth e al massiccio uso della drum machine (Roland 808) dà vita a sonorità quasi robotiche, glaciali, che sembrano uscite dai Suicide. Vi do in pasto il cuore, ma prima ve lo incarto per bene.

13 Settembre 2009
“Oh Kanye. Oh, God.” (Beyoncé, MTV VMAs 2009).
“Do I contradict myself? Very well then, I contradict myself, (I am large, I contain multitudes).” (Walt Whitman, “Song of myself“).
“I’m living in that 21st century / doing something mean to it / Do it better than anybody you ever seen do it” (Kanye West, “Power“).

Il suo sbrocco ai danni di Taylor Swift ai Video Music Awards l’ha reso una barzelletta vivente. Persino Obama l’ha definito un coglione. Un Kanye già provato dagli eventi degli anni precedenti vola alle Hawaii e si trincera dietro una squadra enorme di produttori e collaboratori. Lui scrive, a ruota libera, poi dà carta bianca a modifiche, idee, suggestioni. My Beautiful Dark Twisted Fantasy è già tutto nel titolo. Le sue moltitudini, affidate a collaboratori, rimasticate, incoerenti, eccessive. Il disco, incontenibile, troppo ampio per il suo stesso formato, polifonico, prende 10 su Pitchfork e Kanye ritorna un genio, fioccano paragoni addirittura accademici, addirittura con Picasso (qui saremmo al periodo rosa), le sue contraddizioni tornano a essere roba da raffinati esegeti. Come il suo idolo Michael Jackson, Kanye ridiventa il re del pop, il re della culture. E l’America si riscopre ai suoi piedi.

18 Giugno 2013
“Gaga named her album ARTPOP. Sure, Jay Z perfmormed ‘Picasso Baby’ for six hours straight in an art gallery. But having Jeff Koons balloons at your launch party or giving butterfly kisses to Marina Abramovic doesn’t automatically mean a piece of music will be considered a trascendent work of art.” (Zack O’Malley Greenburg, Forbes, 25 Novembre 2013).
“I just talked to Jesus / He said ‘What up Yeezus?'” (Kanye West, “I am a God”).

Ascoltate “Otis” in Watch the Throne (2011). Sopra un magistrale sample di “Try a Litlle Tenderness” da Otis Redding, Jay Z se la spassa: il suo flow è rilassato, sornione, gaudente. Kanye no. Album e tour mondiale col suo ex “capo”, col suo pigmalione, in teoria un achievement definitivo. Invece no: la metrica è stravolta, i versi pieni di allitterazioni e manifesti. Da una parte “I invented swag”, dall’altra “They say I’m crazy, but I’m ‘bout to go dumb again”. Kanye ha già oltrepassato i limiti della propria musica: da Twitter alla “design company” DONDA, la sua esistenza non può più essere testimoniata solamente dai dischi che produce, e vuole sottrarsi alle logiche normali del mercato. Yeezus non è solo un album: è il suo nuovo alter ego, diventa il marchio della sua linea di scarpe, ancora più di Twisted Fantasy esula dal formato cd. La copertina non esiste, o meglio, è un case di plastica trasparente qualunque, ma il buzz creato su Twitter e siti più o meno ufficiali appartiene a un altro medium. “New Slaves”, il primo singolo, viene proiettato su 66 edifici in 10 città; Kanye assiste sulla 5th Avenue a New York, proiezione sul palazzo che ospita il Prada Store. Le canzoni sono scioccanti: elettronica, dubstep, house, il disco è 808s and Heartbreak alla foce di un fiume di liquami industriali. Il tour che segue, il primo da cinque anni, è teatro o, come sentenzia la critica, una rivisitazione de La montagna sacra, con neve, montagne, simboli religiosi e un Kanye dalla faccia mascherata, una maschera di brillanti creata dallo stilista Martin Margiela. Il materialismo, la ricchezza, la spacconeria tradizionali del rap diventano plasticamente arte contemporanea, materiale da galleria, gioielli da collezione. Il peso personale di avere generato questo shift concettuale qual è?

11 Febbraio 2016
“See I invented Kanye, it wasn’t any Kanyes / And now I look and look around and there’s so many Kanyes” (Kanye West, “I Love Kanye”).

The Life of Pablo viene presentato al mondo al Madison Square Garden. L’hype, questo concetto che Kanye ha contribuito a lessicalizzare, è alle stelle. La première di un disco è un evento unico, definitivo e pregnante per definizione, eppure il The Life of Pablo di quella sera non è uguale ai leaks diffusi in precedenza, e nemmeno alle versioni successive, uscite a scaglioni sulle varie piattaforme digitali e che verranno modificate anche dopo l’uscita. Il release party diventa un film che testimonia un passaggio irripetibile, non più mai uguale a se stesso. Non esiste tuttora il disco in formato fisico. In poche parole, una twisted fantasy che va oltre i versi e la composizione, e si riverbera sulle modalità di distribuzione e di autorialità. The College Dropout, The Digger, l’attivista per i diritti dei neri, Gesù Cristo, l’uomo dal cuore spezzato, il direttore d’orchestra, Yeezus, Pablo (Picasso?) Come se i suoi alter-ego non fossero abbastanza, stavolta sono proprio le sue canzoni, chiuse nel formato disco, ad aprirsi a modifiche nel tempo. Come la voce che vuole uscire fuori dalla bocca cucita, ricordate? La dialettica chiuso-aperto, dentro-fuori, da eroe romantico è sempre stata una costante, ma qui è la sostanza stessa del disco a incarnarla. La rifrazione ha fatto il giro, non ha più senso parlare di specchi, Kanye è tutto davanti a noi.

1 Giugno 2018
“When you hear about slavery for 400 years. For 400 years? That sounds like a choice. You was there for 400 years and it’s all of y’all. It’s like we’re mentally in prison. I like the word prison because slavery goes too direct to the idea of blacks. Slavery is to blacks as the Holocaust is to Jews. Prison is something that unites as one race, blacks and whites, that we’re the human race.” (Kanye West, 2 Maggio 2018, TMZ).

Sulle idee politiche e storico-sociali di Kanye si è detto e scritto di tutto. Lui stesso ha affermato e poi ritrattato con uguale convinzione le sue posizioni. Lo stesso è avvenuto riguardo la sua salute mentale, soprattutto dopo il suo ricovero a Los Angeles durante il tour di The Life of Pablo, nel Novembre del 2016, dopo numerosi concerti caratterizzati da monologhi a dir poco perturbanti. Alt-right o meno, coglione, genio o malato che sia, la polarità che ha suscitato fin dall’inizio della sua carriera ha assunto contorni fideistici o di rifiuto soprattutto negli ultimi anni, per via dei social e delle continue sue titubazioni (e forse trollaggi) riguardo l’uscita dei suoi nuovi lavori. Ye è praticamente pronto; poi, succede il casino a TMZ e, stando alle fonti, Kanye rifà tutto in un mese. Comunque sia, il 31 Maggio c’è il release party tra le montagne del Wyoming, e il giorno dopo il disco esce davvero. Ye è più un mixtape, una raccolta di pensieri disordinati sugli eventi del mese che l’hanno preceduto, una serie di riposte da parte sua a polemiche create da lui stesso. Tutto il disco è pervaso da una sensazione di incompiutezza e di innecessarietà, forse riflesso dell’hype smisurato che accompagna ogni sua uscita. Stavolta non siamo davanti ad antologie del pop né a opere d’arte concettuali, ma semplicemente a 7 canzoni. Il re è nudo.

6 Gennaio 2019
“The most beautiful thoughts are always beside the darkest” (Kanye West, “I Thought About Killing you”).

I mesi successivi all’uscita di Ye sono degni delle migliori teorie del complotto. Dopo una settimana esce Kids see Ghosts, progetto firmato insieme a Kid Cudi. A Settembre viene annunciato un nuovo album, Yandhi. La copertina è praticamente la stessa di Yeezus. Cosa ci si deve aspettare? Yandhi è previsto per il 29 Settembre ma non esce, Kanye vola alla Casa Bianca per incontrare il Presidente Trump, in una reissue dell’incontro tra Elvis e Nixon. Le polemiche divampano di nuovo: ormai è andato, ci sta prendendo per il culo, ha tradito la culture. Nel frattempo, Kanye è già in Uganda per riconnettersi con le sue radici: forse ritemprato, annuncia poi su Twitter di essere stato usato, e che smetterà di dedicarsi alla politica per concentrarsi sull’arte. Nel frattempo, Yandhi viene rimandato di nuovo: Kanye sente che non è ancora pronto, il disco uscirà a data da destinarsi. In questo percorso contorto il 6 Gennaio escono le prime immagini del Sunday Service, ennesima reinvenzione, ennesima rinascita concepita durante il suo ricovero. Sono incontri settimanali itineranti di stampo cristiano, a invito, subordinato a un dress code. Kanye e un coro, The Samples, suonano reinterpretazioni gospel di canzoni sue e non, insieme ad altri classici di musica sacra. Niente di nuovo sotto il sole, la chiesa battista propone spesso questo tipo di mash-up, ma se c’è di mezzo Kanye ovviamente tutto è molto più significativo. Gli abiti bianchi, questa nuova vibe rilassata distesa, la presenza massiccia di guest star danno l’effetto di una comunità di eletti: sembra che Kanye stia creando un nuovo modo di fruizione musicale, di happening, servendosi della religione e di una vaga idea di spiritualità e purezza. Oppure ci crede davvero, non si sa mai. Il Sunday Service deve esibirsi al Coachella, a Pasqua, poi l’esibizione viene cancellata, poi invece si fa: Kanye ha preteso una collina tutta per se dove esibirsi. Presenterà Yandhi? Macché, piuttosto vende merchandising a tema religioso. A Luglio però escono dei leaks, ma non si fa in tempo ad apprezzarli che un album del tutto nuovo, Jesus is King viene annunciato. Prima per il 27 Settembre, poi per il 29. Un anno esatto dalla non-uscita di Yandhi. Dobbiamo fidarci questa volta?

 

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