Father John Misty – I Love You, Honeybear

Se esistesse un Olimpo dei cantautori folk con la barba Josh Tillman sarebbe uno dei regnanti. Sin dagli esordi, e coi Fleet Floxes fino alla nascita di quell’aka Father John Misty che esordisce al pubblico con Fear Fun, Tillman ci racconta e scava dentro l’America. E in America esiste una bella espressione per definire il secondo lavoro di un artista, che poi definisce anche le post-matricole universitarie: sophomoreI Love You, Honeybear è il sophomore album di Father John Misty, un concept album che narra la storia di un uomo di nome Josh Tillman. Basti pensare a pezzi come The Night Josh Tillman Came To Our Apartment, che al di là della dolcezza di musica e testo, incarna abbastanza bene il concetto di questo nuovo lavoro. Tutto gira intorno alla figura di Emma Elizabeth Tillman, la moglie di Josh, a cui è dedicato un album che in fondo canta anche uno di quegli incontri che cambiano una vita. Si può dire che la musa ispiratrice e reginetta del cantautorato folk degli ultimi anni si chiami proprio Emma? Se l’Emma di Bon Iver è quella che è appena andata via e torna sotto le vesti di un fantasma assente da invocare in For Emma Forever Ago, l’Emma di Tillman è quella che illumina la quotidianità. È quella di cui si canta in Chateau Lobby (in C for two Virgins), il cui video è stato girato proprio da Josh ed Emma con un iPad.

People are boring / But you’re something else I can’t explain / You take my last name” canta Padre John in Chateau Lobby, e non è il solo verso che lo consacra come un cantore della noia americana contemporanea. Il capolavoro del disco in questo senso è il mantra del primo singolo che Tillman ha rilasciato al pubblico, Bored in the Usa (che fa il verso a Born in the Usa di Springsteen), canzone amara e triste che fa ridere col suo umorismo a tratti anti-americano. L’America raccontata da Tillman è stanca, ha perduto le sue illusioni, guarda la tv ed è vittima dei subprime.Save me Presidente Jesus” invoca Tillman nella canzone, quasi ridendo di se stesso e dell’americano medio in attesa di una salvezza divina. ”Bored in the USA / Oh, they gave me a useless education / And a subprime loan / On a craftsman home”, se Bruce Springsteen cantava il sogno americano qui ritroviamo la noia dello stare al mondo della nuova America, del suo nuovo spirito con le tasche più vuote.

I spend my money getting drunk and high / I’ve done things unprotected” ci dice ancora Tillman in un pezzo intitolato ironicamente The Ideal Husband, in cui dal fondo di una musica ritmata si preannuncia quasi il suono di una sirena di polizia che insegue il marito ideale Tillman per le strade della città mentre è alla guida di un auto ubriaco. ”Every woman that I’ve slept with / Every friendship I’ve neglected / Didn’t call when grandma died”, che è un po’ il consegnarsi arresi a qualcuno come l’anti-ideale in cerca di redenzione. È questa la vera America, ma anche l’autentico Ventunesimo secolo che ci sta consegnando Tillman. Le chitarre che aprono Holy Shit continuano a descrivere il piccolo dramma umano: ”Oh, and no one ever knows the real you and life is brief”. Religioni morte, olocausti, nuovi regimi, vecchie idee, ci muoviamo in mezzo a tutta la marea delle notizie del mondo ricercando vecchie verità su noi stessi, perché al fondo di tutto ci sono delle cose che restano immutabili. E mentre gli archi ci accompagnano, Tillman ci dice che l’amore è solo un’istituzione basata sulla fragilità umana, un’economia basata sulla scarsità di risorse, ma è tutto solo un piccolo joke e una satira all’America che ha imparato a sognare di meno.

I Love You, Honeybear è un disco corposo, che a tratti riesce a essere persino elettronico come in True Affection, per poi passare alla chitarra più scarna di I Went To The Store One Day. Ci prende in giro e ci culla Josh Tillman, regalandoci canzoni profonde e piccole chicche. Consegnandoci la sua storia che è la storia di tutti quelli che hanno a che fare con questo secolo ingordo. Riscoprendo la verità dentro i sorrisi più banali, e invitandoci a credere che la crisi in fondo è solo una vecchia nenia da cui si esce fuori con la poesia. Una piccola colonna sonora del quotidiano nel mezzo del caos.

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