Feist – Pleasure

Avete presente quello che spesso accade alle canzoni associate agli spot televisivi? Un boato improvviso e poi il silenzio. La lista di meteore inghiottite in un vortice profondo è infinita e raccoglie sia artisti talentuosi sia fenomeni di poco spessore, ma baciati dalla fortuna. Non è il caso di Feist che in quasi vent’anni di carriera ha realizzato quattro album, portando la sua musica sui palchi di tutto il mondo e arrivando alla conquista del grande pubblico con Mushaboom e 1234, singoli freschi e dall’anima pop che hanno stregato i produttori radiofonici e i direttori creativi di molte agenzie pubblicitarie.

Non possiamo nascondere che, dopo sei anni dall’uscita di Metals e circa tre anni di assenza dalle scene, più di una volta ci ha sfiorati il sospetto che lo stesso crudele destino riservato alle stelle cadenti sarebbe capitato anche a Feist. I rumors legati al suo ritorno si sono fatti, però, sempre più insistenti negli ultimi mesi e il 28 aprile scorso è finalmente uscito Pleasure, il quinto e attesissimo disco della cantautrice canadese. La verità è che Leslie Feist non è mai stata in grado di rimanere ormeggiata nel porto sicuro di una superhit, né si è lasciata accarezzare dal successo, preferendo anzi sfidare la sorte e navigare in mare aperto.

© REUTERS | Stain Lysberg Solum

Tuttavia prima di spendere ancora parole sull’universo di Feist bisogna mettere in chiaro che il suo non è uno spazio facilmente accessibile a tutti. Chi è rimasto inchiodato all’ascolto delle ballate più orecchiabili non può immaginare quanto possa essere meraviglioso imbattersi nelle fragilità di quest’artista, provando più che una semplice empatia. Intensa e delicata allo stesso tempo, oggi incontriamo una donna diversa rispetto a quella impressa in Look At What The Light Did Now, il documentario girato dal regista Anthony Seck che per quattro anni l’ha seguita e ha raccontato il passaggio dagli esordi della Broken Social Scene alla grande popolarità di The Reminder.

In Pleasure non c’è traccia di leggerezza né di atmosfere sognanti, ma sono ben delineati i momenti difficili e di smarrimento che la cantante ha attraversato dopo una depressione dalla quale non siamo ancora completamente sicuri che ne sia uscita. La tempesta si è consumata, ma le sue storie sono ancora intrise di malinconia che si intreccia alla paura dell’ignoto. In questo disco la linea di confine tra dolore e piacere è talmente inconsistente da aprire a una serie di quesiti. La ricerca della pace interiore di Feist parte inevitabilmente dal passato ed è indirizzata al futuro. Ci è voluto del tempo, ma Pleasure è arrivato con il suo bagaglio di consapevolezza diventando il più sincero e autentico diario di bordo scritto dalla cantante canadese.

Grazie all’aiuto dei produttori Dominic “Mocky” Salole e Renaud LeTang, Feist segue la via già battuta del folk per dare vita alle undici tracce che compongono la raccolta, ma rispetto ai precedenti album preferisce i fuoristrada e gli imprevisti che il cammino le regala. In fase di lavorazione sono molti gli spunti che Feist trae dalla vita quotidiana per la realizzazione di Pleasure, a partire dalla letteratura e dagli scrittori come John Steinbeck che diventa per lei un esempio di rigore intellettuale e dai viaggi come quello in Africa ad Addis Abeba dove scopre Hailu Mergia e la sua Walias Band, un gruppo jazz e funk etiope attivo dagli anni ’70 agli anni ’90, di cui apprezza soprattutto la particolarità dei suoni emessi dalla fisarmonica, dal sassofono e dai sintetizzatori.

In breve che cosa possiamo trovare in questo disco? Non è soltanto la seduta terapeutica di Feist, ci sono anche le chitarre di Pleasure e di Any Party che si fondono tra i guaiti di I Wish I Didn’t Miss You e i suoni domestici di Get Not High Get Not Low. Nell’intro di A Man Is Not His Song ascoltiamo, invece, i grilli che friniscono in una notte d’estate e quasi non crediamo alle nostre orecchie sentendo le arie folk trasformarsi in esplosioni heavy metal. Il contrasto dell’album si legge nella grazia dei dettagli, accostando ballate tanto vellutate quanto ruvide come Baby Be Simple al blues più viscerale di I’m Not Running Away fino ad arrivare alla fine del disco con Young Up, un brano intrappolato in epoche lontane in cui il vero protagonista è l’organo.

© Cass Bird

Il fiore all’occhiello di Pleasure l’abbiamo lasciato per ultimo ed è Century, una meravigliosa prova di rock contemporaneo che vede la partecipazione di Jarvis Cocker dei Pulp. Il tempo scorre scandito dal ritmo della batteria, scivola velocemente e non può tornare indietro. Sembra quasi che quest’album sia stato scritto per ricordare a tutti di volersi sempre bene nonostante gli errori che si commettono; infatti Feist si racconta lasciando fluire liberamente le emozioni e ottenendo uno scoperchiamento del vaso di Pandora. Svincolata e allo stesso tempo rafforzata dalle inquietudini, presto la rivedremo anche insieme ai Broken Social Scene che il 7 luglio torneranno con il nuovo album Hug of Thunder. Feist vuole essere più di una voce: abbiamo la netta sensazione che per lei sia arrivato il momento di essere fino in fondo attrice del suo destino.


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