Foals – Everything Not Saved Will Be Lost (Part 2)

Ci sono gruppi che sono stagioni. Stati d’animo. Atmosfera. Che sono colori, odori e sapori. I Foals sono l’autunno. E con il loro Everything Not Saved Will Be Lost part. 2 lo urlano. Sono arie che, attraverso lo sguardo e la voce del frontman Yannis Philippakis, si riflettono nel grigiume delle città, gocce di suoni che si infrangono nelle pozzanghere e tepore di un abbraccio melodico. È l’energia frizzante di un periodo che apre a un nuovo anno di speranze, traguardi e anche delusioni. Ma come succede per ogni stagione attesa, i mesi arrivano con la consapevolezza di conoscerne già temperature, abbigliamento e mete, così con la band inglese ci tocca barattare la sicurezza di qualcosa che potrà piacere, ed anche in questo caso è così, con il gusto sconosciuto dell’imprevedibilità.

L’ultima fatica (seconda puntata del lavoro uscito a marzo) è semplice ma puro indie-rock, quello foalsiano, con suoni decisi e chitarre sgargianti, fieri di uno stile identitario che si colora di lotte e di attualità, che si conferma battagliero, con un tocco di new wave e synthpop. C’è un sottobosco di Arctic Monkeys, Bloc Party e anche una spolveratina di Arcade Fire ma la ricetta è ben riuscita, e aggiunge un’altra pietanza ben strutturata a un percorso che inizia 14 anni fa. A mancare però è quello stupore che una seconda puntata annunciata, e fatta sudare per ben sei mesi, dovrebbe lasciare, senza capire se tifare o no per il protagonista.

Con The Runner e Like Lightning li adori, pensi che non ci sia di meglio. Che gli perdoneresti ogni malefatta, perché alla fine è la musica che conta. Due brani che da soli riescono a tirarsi dietro il resto della track-list. The Runner è carica. È ricordare che il territorio dei Foals è segnato. Un preciso perimetro da cui difficilmente si spostano ma che riescono a difendere con determinazione e carattere. Like lightning è musicalmente arrogante e decisa. Anche la doppietta Wash off e Black bull non delude, ma si fonde tra distorsioni e allarmi del “già sentito”. 

Ikaria, una parentesi che promette bene ma lascia l’amaro in bocca. Non dura abbastanza per potersi abbeverare del pianoforte, come un intervallo di un film dove non riesci ad arrivare alle pop corn che già le luci si rispengono. Un po’ come Red desert, l’intro di atmosfere.  Non mancano neanche i salti nel passato, con Dreaming of che sembra arrivata da almeno una trentina di anni fa, o comunque di ispirarsi a sonorità lontane. O come la psichedelica 10,000 Ft. 

Il finale, bisogna ammetterlo, è ben pensato. Con il singolo Into the surf, che aggiunge un po’ di oscurità a un disco un po’ troppo entusiasta. «I’ll be like water when you rise / Plant a jasmine in the night». Per poi far calare il sipario su Neptune con i suoi dieci minuti di viaggio nei meandri della band. 

Ci sono tutti i Foals, ogni particella sonora e non, ci sono gli anni di tentativi e l’approdare a una vera identità. La loro, unica e indistinguibile. E se Part. 1 per Philippakis era l’«individuo che osserva da un grattacielo la fine del mondo», questa volta nella fine del mondo sembra di esserci finiti. Bisogna solo chiedersi se clonarli per un nuovo disco, che di sicuro aggiungerà carica ai live ma poca novità alla discografia, sia una motivazione sufficiente per averne ancora.

Exit mobile version