Dentro le geometrie, nelle forme complesse

Servono mesi, probabilmente anni, per comprendere un disco dei Fine Before You Came. Serve tempo perché la corazza lasci attraversare le parole, perché si leghino ai momenti, perché l’orecchio sia in grado di percepire le ragioni alla base dei suoi suoni. Nel caso di Forme Complesse questo discorso è ancora più attaccato e radicale, proviene da mesi di stanchezza, di vite sospese e movimenti bloccati, forme di vita diverse, nuove e necessariamente più difficili.

Se i confini e gli spazi attorno cui hanno girato per una vita sono sempre stati stretti e chirurgici, dove arrivava l’anima e forse poco oltre, le Forme Complesse di Marco, Filippo, Mauro, Jacopo & Marco, quelli che sono e saranno sempre i FBYC, restringono ancora di più il respiro, concentrando tutto fra quattro costole e poco più. Lo fanno con suoni in costante tensione, che rappresentano la corsa a una rottura che non avviene quasi più e, quando lo fa, come in Acquaghiaccia, è una fredda consolazione. Quando quello spazio non c’è allora si fonde con il suono della pioggia, con quello del vento o di una stanza vuota. Di un quartiere come Cogoleto, nel trovare le forze per dormire mentre, fuori dalla finestra, la realtà si disgrega.

 

 

In questo disco contano, come macigni, le ore del giorno, le foto, la pioggia contro i vetri. Contano anche solo riuscire a vedersi di questi tempi, la gentilezza, riuscire a reagire. Il peso delle cose elementari vale, più di ogni altra cosa, in questi brani chiusi e densissimi. Le forme complesse provengono da un cassetto in fiamme che illumina le stanze con un riverbero sempre acceso ad allargarsi oltre i muri, queste ossa, la città. Geometrie che poi variano sempre, dicono in Forme Complesse, nel tentativo di adattarsi, e continuare a farlo quando è così chiaro che tutto stia fallendo. L’avresti mai detto – chiudono nella title track – che sarebbe stato così.

Dicevamo che serve tempo ai dischi dei FBYC per essere compresi ma nel caso di Forme Complesse diventa tutto, paradossalmente, più semplice. Non il suo contenuto, in cui persiste un senso di segreto, di alterità incomprensibile all’esterno, piena zeppa di metafore e similutidini impossibili da districare. La sua ragione invece è qui. Come in un viaggio in cui si sono divise tutte le avversità anche alla fine, nella crasi finale costituita da Intorno, questo patto di reciproca vicinanza è più che mai sancito, proprio nel momento più triste e più felice dell’intero disco.

Forme Complesse racconta di un’odissea, personale certo, ma mai così tanto vicina a noi in questi tempi tutti diversi e tutti profondamente simili. Allo stesso modo dell’indagine sulle proprie radici di Come fare a non tornare, i Fine Before You Came compongono anche qui una sorta di geografia sentimentale che cerca di districarsi fra la nebbia. Ci prova, per lo meno a uscirne.

 

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