Franz Ferdinand – Always Ascending

A cinque anni da Right Thoughts, Right Words, Right Action e dopo la parentesi collaborativa con gli Sparks: FFS, la Scozia che “fa ballare le ragazze” torna con Always Ascending. Che si trattasse di qualcosa di diverso lo sapevamo già alla notizia del cambio della lineup, seguito all’uscita dal gruppo del chitarrista Nick McCarthy. Dentro, al suo posto, Dino Bardot e –questo il vero elemento di rottura con il passato: Julian Corrie, titolare del progetto electropop Miaoux Miaoux, il quale va ad aggiungere un tastierista permanente alla band, imprimendo la vera inversione di rotta nella composizione e nella struttura.

Se poi aggiungi il produttore francese Philippe Zdar (tra gli altri: i Phoenix), è chiaro che il nuovo album dei Franz Ferdinand è qualcosa che non abbiamo mai ascoltato. E che va ascoltato più volte, superando l’iniziale diffidenza, prima di realizzare in cosa consiste il “futurismo naturale” di cui ha parlato Alex Kapranos: qualcosa di non riducibile all’abdicazione delle chitarre in favore del groove.

La nuova direzione intrapresa risulta chiara già a partire dalla title track Always Ascending. Lo sguardo attento su se stessi è una dichiarazione di intenti in meta-composizione: il testo descrive infatti la struttura che va assumendo la musica, nel suo farsi e i versi “We can ascend from this arrangement / We can see fate as entertainment” costituiscono forse il più genuino statement, contenuto nell’album della party band di Glasgow: dal rock all’elettronica passando per il funk e la disco, scivolano di citazione in citazione, rimasticano e di fatto vanno oltre, conservando la cifra che più ce li ha fatti amare: l’intrattenimento inteso come divertimento, vocazione danzereccia e attitudine glam.

Le chitarre tornano a primeggiare in Lazy boy e Glimpse of Love: nella prima accompagnate dal sinth, fino al refrain che insiste ipnotico spingendo forte sulla dance; nella seconda armonizzate con tastiere e cori, e complice il testo e ancora l’elettronica, i FF reloaded ci consegnano un gioco articolatissimo in forma di canzone. Sembra di sentire in filigrana i Depeche Mode immersi in una ben dosata confusione di cori, nell’intro di Paper Cages. La virata al funk rock opta per una composizione ordinata, chitarra sedata e tanto glam, mentre il testo ci riconsegna i FF filosofi di Lucid Dreams, con istinto di conservazione alla Take Me Out.

Atmosfere electro pop Nineties in Louis Lane, dopo un’ apertura sincopata ed essenziale: tastiere e batteria con sottolineature di bassi: ancora una volta stupiscono varietà di cambi di registro e naturalezza nei passaggi. Di sorpresa in sorpresa, sempre con stile. Non mancano le influenze mutuate dalle altre arti e i contenuti sociali. Huck and Jim, la canzone “più americana” dei FF secondo la loro stessa definizione, è ispirata ai due personaggi di Huckleberry Finn: due punti di vista sull’America. Il pezzo si fa trap-sul serio!- prima di aprire su un coro ironico e spettacoloso: ‘We’re going to America / going to tell them about the NHS”. Il sistema sanitario come cifra di civiltà è una chiara frecciata a Trump.

Academy Award è una ballata dal sapore cinematografico, con atmosfere alla Leonard Cohen di Natural Born Killers ed Ennio Morricone secondo Tarantino. “Love is a drug we don’t need anymore”. I new media ci stanno rendendo tutti un po’ protagonisti, “and the Academy Award for good times goes to you” suona quasi una dichiarazione d’amore, con esplosione sentimentale in musica.

Che i Franz Ferdinand guardassero indietro lo sapevamo a partire dal nome della band, ma che riuscissero a riorganizzare le influenze musicali tra Ottanta, Novanta e Duemila in modo tanto personale, e a cambiar pelle lasciandosi dietro un ammirato stupore è davvero una bella sorpresa, e il chiaro segno di una raggiunta maturità artistica e consapevolezza dei propri mezzi.

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