Frida Kahlo: fenomenologia di una donna di culto

C’è poco, forse nulla da dire che non sia già stato detto sulla vita e l’arte di Frida Kahlo.

Nella mente di chiunque la parola “Frida” (abbreviazione del suo lungo nome completo, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón) richiama l’iconografico monociglio, il baffo sul labbro superiore, le acconciature piene di fiori, una serie infinita di autoritratti pieni di sofferenza.

La pittrice più famosa del mondo, messicana di origini tedesche è, dopo la Vergine di Guadalupe, il simbolo più rappresentato dalle comunità latine degli Stati Uniti.

Il percorso che ha condotto una ragazzina apparentemente normale -seppur sfortunata sin da piccola-, con cinque sorelle, una madre estremamente cattolica ed un padre epilettico, a diventare una vera e propria icona dell’arte ma non solo, passa attraverso una vita travagliata, fatta di un amore romanzesco, una salute martoriata, la passione politica, ed un tram. Ma andiamo con ordine.

Ero solita pensare di essere la persona più strana del mondo ma poi ho pensato, ci sono così tante persone nel mondo, ci dev’essere qualcuna proprio come me, che si sente bizzarra e difettosa nello stesso modo in cui mi sento io. Vorrei immaginarla, e immaginare che lei debba essere là fuori e che anche lei stia pensando a me. Beh, spero che, se tu sei lì fuori e dovessi leggere ciò, tu sappia che sì, è vero, sono qui e sono strana proprio come te.

Frida a dodici anni, fotografata dal padre Guillermo Kahlo

 

Ad appena sei anni, Frida sostenne la sua prima battaglia contro la morte. La famiglia la credette ammalata di poliomielite, in realtà la bambina, come la sorella minore Cristina, era nata con la spina bifida. La malattia la portò ad avere una gamba più corta dell’altra, provocandole una zoppìa che Frida nascondeva come poteva.

Il grande esempio per Frida fu il padre: ammalato di epilessia, i suoi frequenti accessi non gli impedivano di trovare la forza per lavorare. Il padre sarà una figura di riferimento per la pittrice, che gli somigliava nel temperamento sicuramente più che alla madre, fervente cattolica, che tendeva a limitare molto la sua libertà.

A 15 anni, la giovane ed intelligente Frida si qualificò per la Scuola Nazionale Preparatoria, risultando tra le sole 35 femmine a frequentarla su 2000 studenti, e durante quegli anni cruciali investigò la sua sessualità, scoprendo le prime attrazioni per le donne, e si avvicinò alle teorie del comunismo.

Frida provava una profonda empatia per i poveri e per il suo popolo; era nata nel 1907, ma volle cambiare anno di nascita nel 1910, anno in cui ebbe luogo la rivoluzione messicana. Un vezzo che molte donne usano per sentirsi più giovani, nel caso di Kahlo rappresentava una incarnazione viscerale con la sua terra e la sua storia.

Il primo incontro con il grande, tempestoso amore della sua vita, Diego Rivera, avvenne mentre lui dipingeva uno dei murales per cui era famoso nella scuola che Frida frequentava. La giovane rimase colpita da panzòn, che reincontrerà più avanti durante una riunione politica a casa di un amico. In quella occasione si dice che quest’uomo grasso, altissimo, brutto ma di incredibile successo con le donne, sparò al fonografo, affascinando la pittrice. Ma prima, qualcosa di tragico doveva ancora capitarle, qualcosa che le avrebbe sconvolto la vita per sempre.

Non è vero che ci si rende conto dell’urto, non è vero che si piange. Io non versai una lacrima. Eravamo saliti da poco sull’autobus quando ci fu lo scontro. Prima avevamo preso un altro autobus, solo che io avevo perso un ombrellino. Scendemmo a cercarlo e fu così che salimmo su quell’autobus che mi rovinò. L’incidente avvenne su un angolo, di fronte al mercato di San Juan, esattamente di fronte. Il tram procedeva con lentezza, ma il nostro autista era un ragazzo giovane, molto nervoso. Il tram, nella curva, trascinò l’autobus contro il muro. L’urto ci spinse in avanti e il corrimano mi trafisse come la spada trafigge un toro. Un uomo si accorse che avevo una tremenda emorragia, mi sollevò e mi depose su un tavolo da biliardo e lo strappò dalla carne con un gesto deciso. Un corrimano di quattro metri mi era entrato nel fianco. Mi aveva impalata. La punta scheggiata mi usciva dalla vagina. A diciott’anni quell’autobus che avrebbe dovuto uccidermi, in realtà mi ha sverginato. Non potevo essere ancora viva, il corpo trapassato da parte a parte, la spina dorsale spezzata in tre, e due costole, la spalla e la gamba sinistre frantumate, un lago di sangue. In ospedale non credevano ai loro occhi, più che un’operazione hanno dovuto fare un collage, un rompicapo per chirurghi senza fretta. Sono stata assassinata dalla vita. Dicevano che non mi sarei più mossa. Confinata nel mio letto, nella Casa Azul, cominciai a dipingere.

Frida fu portata in ospedale e piazzata in un reparto in cui non avrebbe ricevuto alcuna cura medica. Questo perché si credevano le sue condizioni talmente disperate da rendere inutile ogni cura. Il mondo, nel 1924, arrivò vicino a non conoscere mai il genio della più famosa figlia del Messico.

Il recupero fu lento, faticoso, pieno di dolore. Fu trasferita a Casa Azul, dove rimase immobilizzata a letto per mesi. Dovette reimparare a camminare, come una bambina, combattendo contro i dolori atroci di un corpo maciullato, spezzato. Impiegò due anni per riprendersi dall’incidente, ed i suoi genitori si prodigarono per renderle meno insopportabile questo supplizio. Sopra al suo letto a baldacchino legarono uno specchio, in modo che Frida potesse vedersi, e così, per combattere la noia, cominciò a dipingere. Il suo primo quadro fu un autoritratto, il primo di una lunga serie che durò tutta la sua carriera, il suo marchio di fabbrica.

Autoritratto I, 1926

Mostrando una parte di quella incredibile tenacia che la renderà una donna ammirata ancora oggi, Frida riuscì nell’incredibile compito di sopravvivere alla propria sfortuna, e riprese a camminare. Aveva fatto molto esercizio di pittura nel periodo dell’immobilismo, e cercava una conferma del suo talento, per esser certa che quella fosse la strada che poteva percorrere per tutta la sua vita. La trovò in Diego Rivera.

Frida era una donna piuttosto sfacciata, senza peli sulla lingua, poco avvezza ai problemi di “etichetta”; si approcciò al più famoso pittore messicano, il suo panzòn, interrompendolo mentre lui dipingeva su un’impalcatura. Si dice che lei gli abbia gridato semplicemente “Diego, vieni giù!” e che lui abbia obbedito. Gli piacquero i dipinti della giovane messicana, e gli piacque anche lei stessa.

Diego aveva una fama da vero donnaiolo impenitente, e Frida già prima di sposarlo sapeva che sarebbe stato difficile tenere testa alle sue infedeltà coniugali. Di lui si diceva che non riuscisse a lavorare con una modella nuda senza provare attrazione. Tutte le donne gli piacevano e tutte metteva da parte: il suo unico, vero scopo, la più alta consacrazione della sua vita era la pittura.

La madre di Frida non approvava il matrimonio: disse che gli sposi sembravano un elefante e una colomba. Si sposarono con rito civile, rifiutando in un solo colpo le convenzioni del cattolicesimo e quelle della borghesia. Entrambi ferventi comunisti, accomunati dalla passione per l’arte, svilupparono un rapporto complesso, sfaccettato, fatto di amore profondissimo e a tratti anche di odio.

Ci sono stati due grandi incidenti nella mia vita: uno è stato il tram e l’altro Diego. Diego è stato di gran lunga il peggiore.

Da allora, la vita dei due artisti può essere capita solo guardandoli in coppia; tra momenti di altissima felicità, in cui Frida “tradiva” quasi il suo spirito ribelle per trasformarsi nella perfetta mogliettina premurosa, che porta al marito il pranzo nel cestino ornato di fiori, all’acceso anticonformismo dei loro tradimenti, che da un certo punto in poi iniziarono a diventare reciproci.

Anche Frida, infatti, ebbe molte storie extraconiugali, un po’ per amore di avventura, e un po’ probabilmente per vendicarsi delle infedeltà del marito. Era bisessuale, e coltivò vari flirt con donne, che Diego sopportava senza gelosie, e con uomini, che invece lo facevano ammattire. Diceva: “Non voglio dividere con nessuno il mio spazzolino da denti!”

Ma Frida possedeva una sensualità immensa, probabilmente dovuta anche alla dolorosa consapevolezza del suo corpo storpiato, nonché un amore per la vita che la rendeva magnetica. Una delle sue biografe ha detto: “Il suo ideale di vita era fare l’amore, farsi un bagno e fare di nuovo l’amore“. Aveva anche un lato maschile molto pronunciato, che attraeva Rivera; si esprimeva spesso in maniera volgare, fumava e beveva come un uomo, esplodeva di forza amorosa e di vita.

Kahlo si curava maniacalmente, indossando i vestiti tradizionali dello stile Tehuana (coloratissimi, con bluse di forma squadrata, gonne lunghissime e decorazioni floreali nei capelli). Questi vestiti avevano una funzione molteplice: erano un simbolo di vicinanza con il suo popolo, del quale abbracciava anche le tradizioni più antiche, ma erano anche uno scudo contro la sua deformità, che veniva mascherata dalle gonne lunghe e dalle pose da regina. Infine, servivano a fare di se stessa una vera e propria opera d’arte, una divinità azteca, fino a confondere dove finisse l’autoritratto e dove iniziasse la donna vera. Tanta era la sua immersione nell’arte, e nella propria condizione, che Frida dipingeva anche sui pesanti corsetti che doveva portare per sorreggere la sua colonna vertebrale a pezzi.

Il guardaroba di Frida, su volere di Diego, fu tenuto sotto chiave per moltissimi anni dopo la morte della moglie, nel bagno della loro Casa Azul, fino ad essere riscoperto solo nel 2004. Ci è stato allora permesso di ritrovare dei pezzi veri e propri della vita dell’artista, compresa la protesi che sostituì la sua gamba, amputata durante l’ultimo anno di vita, decorata perché fosse anche quella un oggetto d’arte.

Il matrimonio tra l’elefante e la colomba, mentre fu enormemente fecondo dal punto di vista artistico, non diede vita a figli, per grande sofferenza di Frida, che era ossessionata dall’idea della maternità. Possedeva una grande collezione di bambole, surrogato della prole, ma il suo corpo non fu mai abbastanza forte da reggere una gravidanza. Ebbe numerosi aborti spontanei, vissuti sempre con grande sofferenza, fino al più tragico, sopraggiunto durante il primo viaggio in America, dopo tre mesi e mezzo di gravidanza.

L’aborto, 1932
Henry Ford Hospital, 1932

Fino al viaggio negli Stati Uniti, nel 1930, Frida era “la moglie del maestro”, e non una pittrice anche lei. La maturità artistica, ed i primi riconoscimenti, iniziarono ad arrivare con gli eventi più tragici della sua vita, primo tra tutti l’aborto di Henry Ford Hospital. Qui si vede la pittrice distesa sul letto, elemento chiave della sua vita, in una pozza di sangue e circondata da rappresentazioni di maternità e del suo corpo martoriato. In moltissimi dei suoi dipinti Frida si rappresenta in lacrime: è la sofferenza, il dolore lancinante fisico e psicologico ad ispirarle i suoi capolavori. E tramite questi lei cerca di esternarlo, di liberarsi dal suo soffocante peso, che probabilmente senza la pittura avrebbe finito per schiacciarla.

La permanenza in America diede a Frida alcune gioie, la mise in contatto con gli alti ambienti della pittura (conobbe anche Georgia O’Keefe), e probabilmente la sua vanità iniziò ad essere solleticata dai primi riconoscimenti in campo professionale. In più a panzòn venivano commissionati sempre nuovi murales. Ma in fondo, l’animo comunista e battagliero di Frida gridava per ribellarsi: non era giusto, non era possibile stare tra New York e Detroit a fare la bella vita mentre il popolo messicano era in fila per il pane. Alla fine, a Diego fu commissionato un murales al Rockfeller Center. Lui ci piazzò la faccia di Lenin sopra, si rifiutò di cancellarla, e fu quindi licenziato. Il periodo di contaminazione americana era finito.

Al loro ritorno in Messico, si stabilirono in una casa doppia, progettata ad hoc, in modo da “preservare la quiete familiare“. Avevano di fatto due studi separati, due case indipendenti, ma erano uniti da un ponte. Grande rappresentazione architettonica della loro stessa coppia, in cui i due edifici da soli avrebbero costituito un’opera ben minore della loro unione. D’altra parte, nessuno dei due poteva vivere senza la propria indipendenza: ne andava dell’equilibrio stesso del tutto.

la Casa Estudio Kahlo Rivera

Ma l’equilibrio, sia pure ben cementato dall’amore e da un progetto di vita insieme, in presenza di stimoli esterni tende a barcollare, finché uno spintone di troppo rischia di farlo precipitare. Cristina Kahlo era bionda, elegante, bellissima, e priva di qualsiasi interesse per l’arte, al contrario della sorella. Ma aveva bisogno di soldi, e così Frida le propose di fare da modella per Diego. Ma se avesse saputo che stava spingendo la preda nella tana del lupo, di certo ci avrebbe pensato più su.

La relazione extraconiugale tra Diego e Cristina per poco non uccise Frida. La storia d’amore tra la colomba e l’elefante, tra la niña e il rospo, che fino ad allora era sembrata impermeabile ai tradimenti, ebbe uno scossone molto serio. Frida per dispetto si tagliò i lunghissimi capelli, che Diego amava, e dipinse Unos cuantos piquetitos (Qualche punzecchiata). Nel quadro, ispirato ad un fatto di cronaca, si vede una donna orribilmente sfigurata dalle coltellate, con il suo assassino accanto, che si schernisce: “È stata solo qualche punzecchiata!”. Frida si sentiva così, assassinata dal marito, che si difendeva dicendole “È stata solo una scopata!”, e non contento lasciava dovunque impronte di sangue (perfino la cornice è macchiata ad hoc).

Autoritratto con i capelli corti, 1940
Unos cuantos piquetitos, 1936

L’affronto stavolta era stato troppo grande: Frida andò a vivere da sola, per la prima volta, e si coltivò una serie di flirt per medicare l’orgoglio ferito, scoperti i quali Diego andò su tutte le furie e le distrusse l’appartamento.

Ma l’amore della vita, l’anima con cui hai condiviso un percorso politico, passionale e professionale non si può cancellare con un colpo di spugna. Nonostante il loro rapporto amoroso fosse compromesso, Rivera continuava a sostenere finanziariamente Frida, e i due continuavano a vedersi spesso, e a mandarsi lettere appassionate.

Perché dovrei essere così sciocca e permalosa da non capire che tutte queste lettere, avventure con donne, insegnanti di “inglese”, modelle gitane, assistenti di “buona volontà”, le allieve interessate all’ “arte della pittura” e le inviate plenipotenziarie da luoghi lontani rappresentano soltanto dei flirt? Al fondo tu e io ci amiamo profondamente e per questo siamo in grado di sopportare innumerevoli avventure, colpi alle porte, imprecazioni, insulti, reclami internazionali – eppure ci ameremo sempre… Credo che dipenda dal fatto che sono un tantino stupida perché tutte queste cose sono successe e si sono ripetute per i sette anni che abbiamo vissuto insieme e tutte le arrabbiature da cui sono passata sono servite soltanto a farmi finalmente capire che ti amo più della mia stessa pelle e che, se anche tu non mi ami nello stesso modo, comunque in qualche modo mi ami. Non è così? Spero che sia sempre così e di tanto mi accontenterò. Amami un poco, io ti adoro, Frida (23 luglio 1935)

Diego, in quel periodo, aiutò la permanenza in Messico dell’esiliato Lev Trotsky e di sua moglie Natalia, ed insieme a Frida fece in modo di accoglierli nella Casa Azul. Tra la pittrice ed il rivoluzionario russo ci fu un intenso scambio intellettuale, coronato da scambi di biglietti sempre più appassionati, fino a culminare in una breve relazione. Relazione che fece, prevedibilmente, infuriare i rispettivi consorti, tanto che quando nel 1940 gli stalinisti provarono ad uccidere Trotsky, Diego per scampare agli interrogatori della polizia preferì fuggire a San Francisco.

Autoritratto (dedicato a Leon Trotsky), 1937

La fine degli anni ’30 segna la consacrazione artistica per Frida, che finalmente smette di essere relegata nel ruolo di moglie illustre. Nel 1938 il padre dei surrealisti, André Breton, si recò dai Rivera per incontrare Trotsky, e conosciuta Frida insistette per organizzare una sua mostra personale a Parigi, che ebbe luogo l’anno successivo. A 31 anni, Frida Kahlo diventava la prima donna sudamericana ad aver venduto un proprio dipinto al museo del Louvre.

Breton diceva di lei:

Non esiste arte più squisitamente femminile nel senso che, per ottenere il massimo di seduttività, si presta volentieri a farsi di volta in volta assolutamente pura e assolutamente perniciosa (ovvero che comporta danni di grave entità). L’arte di Frida Kahlo de Rivera è una bomba avvolta da un nastro di seta.

Nonostante le amicizie illustri (Picasso, Duchamp, lo stesso Breton) che si guadagnò a Parigi, Frida non poteva sopportare l’ambiente parigino, e non si sentiva affatto una surrealista, come invece cercavano tutti di definirla.

Pensavano che anch’io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni.

Certo la stima che acquistò in quegli anni fu un passo avanti enorme per la sua carriera. Picasso scriveva a Rivera:

Né Derain, né tu, né io siamo capaci di dipingere una testa come quelle di Frida Kahlo.

Ma la sanguigna messicana non era capace di ipocrisia, e non riusciva a mettere a tacere il suo fervore politico per le speculazioni bohémien tanto in voga a quei tempi. Mentre forse qualunque altro artista sognava di frequentare i caffè di Montmartre, lei scriveva così all’amico Nickolas Muray:

Non hai idea di quanto siano puttane queste persone. Mi fanno vomitare. Sono così maledettamente “intellettuali” e guasti che non riesco più a sopportarli. Per il mio carattere è veramente troppo. Piuttosto che avere a che fare con queste “artistiche” puttane parigine preferisco mettermi seduta sul pavimento del mercato di Toluca a vendere tortillas. Stanno per ore al “caffè” a scaldarsi i loro preziosi didietro e parlano senza smettere mai di “cultura”, “arte”, “rivoluzione” e via di questo passo, convinti di essere i signori dell’universo, sognando i più fantastici nonsense e ammorbando l’aria di teorie e teorie che tanto non diventeranno mai realtà. Il mattino dopo, a casa non hanno nulla da mangiare perché nessuno di loro lavora e vivono come parassiti di quel manipolo di ricche puttane che ammirano il loro “genio” di “artisti”. Sono merda e nient’altro che merda. Non mi è mai capitato di vedere Diego o te sprecare il vostro tempo in pettegolezzi stupidi e in discussioni “intellettuali”. Ecco perché siete veri uomini e non “artisti” da quattro soldi. Per dio! Valeva veramente la pena di venire fin qui se non altro per vedere come mai l’Europa stia marcendo perché tutta questa gente, buona a niente, è la causa di tutti gli Hitler e di tutti i Mussolini. Scommetto sulla mia vita che odierò quel posto e la sua gente fintanto che vivrò. In loro c’è qualcosa di così falso e irreale da farmi impazzire.

La coppia più famosa e discussa dell’arte sudamericana tornò quindi in Messico, mentre il loro matrimonio naufragava. Diego, che aveva una relazione con la diva di Hollywood Paulette Goddard, iniziò a spingere per divorziare da Frida, che accettò seppur a malincuore nel 1939.

Il divorzio fu l’ennesimo, durissimo colpo nella vita di Frida. La sofferenza, che lei aveva imparato ormai così bene a trasferire sulla tela, diede vita al suo dipinto forse più famoso, Las dos Fridas. Frida si dipinge come due donne diverse, una vestita alla europea e l’altra con il suo amato costume tradizionale messicano. Le due donne si tengono la mano, hanno il cuore in bella vista collegato da una vena, ma quello dell’europea è sanguinante, a pezzi, provato dalle tragedie della vita. La parte messicana di Frida sembra passare tutta la sua energia a quel relitto a cuore aperto che è lei stessa. In fondo, Las dos Fridas è una allegoria di tutta la vita dell’artista messicana, perennemente divisa tra la sofferenza più grande e la forza d’animo incredibile che le permetteva di andare sempre avanti, nonostante tutto.

Las dos Fridas, 1939

Abbiamo già visto come Frida e Diego, nonostante le profonde incomprensioni, non riuscissero a stare molto tempo lontani l’uno dall’altra. Frida aveva un grande bisogno del suo rospo, ma anche Rivera soffriva lontano dalla sua chiquita. La riconciliazione avvenne l’anno successivo, con un secondo matrimonio. I due si stabilirono ormai definitivamente a Casa Azul, e sembravano finalmente aver ritrovato la felicità.

Ma le tregue, in questa breve, martoriata, eccezionale vita, non duravano mai per molto. Le condizioni di salute di Frida precipitarono, costringendola a subire una tremenda operazione a New York. Si diceva che Frida, non molto religiosa, pregasse solo prima di andare sotto i ferri.  I suoi amici iniziavano a credere che fosse immortale, visto che le vicende della sua vita non erano mai riuscite a spegnerla. E neanche allora, dopo 9 mesi in ospedale, questa donna straordinaria cedette.

Sentendo che alla moglie rimaneva ormai poco tempo su questa terra, Diego si impegnò per realizzare il sogno della sua vita: organizzare una mostra personale di Frida proprio nel Messico che l’aveva plasmata e fatta nascere in tutta la sua intensità. La mostra si tenne nel 1953, e anche stavolta la sua colomba seppe dare spettacolo della sua forza; i dottori le avevano proibito di alzarsi dal letto, e lei caparbiamente si presentò alla mostra con tutto il letto, distesa, allo stremo delle forze, ma sempre gioviale e caustica. Si dice che, arrivando nella sala, abbia detto “Ma cos’è, una veglia funebre?” facendo rianimare l’umore del pubblico e dei suoi amici.

Quella fu una delle ultime apparizioni in pubblico di Frida. Il suo corpo distrutto stava iniziando ad abbandonarla. Dipendeva dalla morfina e beveva grandi quantità di alcol per cercare di stordirsi. Il colpo finale della vita, che con lei fu infame, fu una cancrena alla gamba, che alla fine divenne amputazione, pochi mesi dopo la mostra. La forza d’animo che fino ad allora l’aveva distinta le sfuggì dalle mani, e Frida entrò in una tremenda depressione, da cui non si riprese più. Diego diceva: “Se potessi ucciderla, lo farei.”, e si può senz’altro immaginare come fosse tragico veder spegnere la donna che ami tra atroci dolori, immobile in un letto.

L’ultima, caparbia uscita pubblica di Frida fu ad una manifestazione politica, contro l’intervento degli USA in Guatemala. Ci andò in sedia a rotelle, e da quella uscita non fece che peggiorare. Sentendo avvicinarsi la fine, diede a Diego il suo regalo per il loro anniversario di matrimonio, in anticipo, temendo di non arrivare alla ricorrenza. Si spense infatti quella stessa notte, a luglio, nel 1954. Diego le sopravvisse solo altri due anni. La colonna rotta si era spezzata definitivamente.

La colonna rotta, 1944

Testimonianze recenti di suoi parenti insinuano il dubbio che la morte di Frida sia stata causata da Diego stesso, tramite un’overdose di farmaci, non si sa se di comune accordo con l’artista o meno. Quel che è certo, è che l’ultima pagina del diario di Frida recita così:

Spero che l’uscita sia gioiosa, e spero di non tornare mai più.

Ma il mito di Frida è continuato anche dopo la sua morte; si dice che, durante la sua cremazione, le porte del forno crematorio si aprirono, e il cadavere fu sollevato dalle fiamme, i capelli intorno alla testa come un’aura, le labbra atteggiate in un ultimo, beffardo ghigno. Questa testimonianza, al limite della leggenda, fa capire come questa incredibile donna, la cui vita è diventata un culto al pari e forse più delle sue opere stesse, sia rimasta nella memoria collettiva quasi come una divinità, capace di risollevarsi dalle proprie ceneri come l’araba fenice. Immortale, come solo l’arte può esserlo.

Meloni. Viva la vita, 1954.
L’ultimo quadro di Frida

Per approfondire ulteriormente puoi visitare la pagina dell’artista su Artsy.

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