Fuck Buttons – Slow Focus

La copertina di Slow Focus dei Fuck Buttons

La copertina di Slow Focus dei Fuck Buttons

Quando la musica elettronica arriva da Bristol è necessario quantomeno chiudere le finestre, sedersi, ed ascoltare in silenzio. Andrew Hung e Benjamin John Power sono i nomi che si celano dietro al progetto Fuck Buttons. Dopo quattro anni di silenzio tornano con un nuovo disco, Slow Focus, il quale segue con matematica precisione il solco già segnato dai precedenti (e impareggiabili) lavori, riuscendo addirittura a superarli.

Diciamolo subito, non è facile tenere testa a quel capolavoro che è stato il precedente Tarot Sport¸ l’eredità che hanno dovuto affrontare era pesante, ma  Slow Focus riuscito ad andare oltre, tanto da non deludere i fan e da non risultare una banale ripetizione dei lavori precedenti. Anzi, questo nuovo lavoro si inserisce in quadro di completa maturazione e siamo giunti al loro vero capolavoro.

Il nuovo disco si apre con i tamburi roboanti di Brainfreeze, accompagnati dagli strascichi sonori dei vecchi lavori, con la differenza sostanziale che il suono è rivolto verso un sound più duro, più cupo rispetto ad una Surf Solar dell’album precedente, per poi aprirsi ad un climax ascendente verso una luce ipnotica, malata, insana, per poi ripiombare nuovamente nell’ossessività della drum machine e di sonorità noise costantemente in primo piano.

Il singolo che anticipa l’album, The Red Wing, è un fiume costante. Una corrente che ripete sempre gli stessi suoni in maniera ridondante e catartica, i quali aumentano sempre di più fino a raggiungere una composizione di una gradevolissima complessità, ai limiti dell’ossessivo. Verso la fine il pezzo perde gradualmente il suo mantra, lasciandoci i suoni di un carillon schizoide a massaggiarci le tempie, sicuramente provate. L’album prosegue con Sententis, la perfetta colonna sonora di un film tratto da qualche libro di William Gibson o Bruce Sterling, con i rumori di qualche “matrice elettronica” malfunzionante e un’atmosfera costantemente cupa e allucinata, in un ripetersi che non lascia posto alla speranza: un eterna ed immutabile riproduzione sintetica.

Presenti nell’album anche episodi meno cupi come Prince’s Price, che ci riporta alla mente le colonne sonore dei videogiochi anni ottanta, in un voluto richiamo fatto di “esplosioni midi” e colpi di cannoni laser che si stagliano sul fondo di una musichetta “neo-geo”: poi il pezzo si apre e diventa ritmato, una danza robotica ma composta, senza fronzoli, ogni nota/suono/rumore/glitch/ è esattamente lì dove deve essere. Una composizione studiata con ingegneristica perfezione. Stalker e Hidden SX chiudono l’album in un tour elettronico di venti minuti. Il primo ci porta brutalmente a suoni introspettivi, e riflessivi. Uno dei pezzi più complessi dell’intero album. Dieci minuti di pura trascendenza elettronica e di sacralità improvvisa. Il secondo  è il capolavoro assoluto dell’opera: una traccia conclusiva che tutto è tranne che un timido congedo. Dieci minuti di loop e synth capaci di non stancarci mai, incursioni sonore di pseudo-violini elettrici che scalfirebbero l’anima di chiunque, per poi ad approdare a ritmi di drum machine parenti al drum’n’bass, completamente fuori contesto e allo stesso tempo incredibilmente appropriati: questa è grandezza.

Tracklist:

  1. Brainfreeze
  2. Year of the dog
  3. The Red Wing
  4. Sentients
  5. Prince’s Prize
  6. Stalker
  7. Hidden SX
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