Fuzz Orchestra – Morire Per La Patria

Il cantautorato che dallo scorso decennio è tornato prepotentemente a farsi largo nel panorama indipendente italiano, guadagnando sempre sempre più risonanza e visibilità, che è venuto gradualmente a sostituirsi al rock negli ascolti dell’appassionato alternativo italiano, ha preso molte forme, ma la costante che lo ha sempre caratterizzato è il sostanziale disimpegno sociale. Così, esattamente come se i nostri brillanti cantautori non si interrogassero mai di nulla che riguardi la vita associata dell’essere umano e del rapporto di questo con una cosa chiamata potere (o almeno non in forme molto più elaborate di “va bene lo ammetto, odio il capitalismo”), da un’analisi degli argomenti trattati dai nuovi cantautori, emerge una sostanziale mancanza di ambizione tematica (esatto, stiamo considerando “l’amore” un tema poco ambizioso di cui cantare) e nei pochi casi in cui si è gridato al miracolo si è potuto beneficiare di buoni avanzamenti stilistici, ma tematicamente non ci si allontanava da una piacevole sociologia spicciola, quando non marcatamente autoreferenziale.

Detto ciò ed escluse poche, pur significative, eccezioni, vorrei chiarire che il punto è che Morire Per La Patria, il terzo disco dei Fuzz Orchestra, sarebbe un disco importantissimo già sul piano tematico, se non fosse che è anche strumentalmente esaltante, ben suonato, doom e marziale, noise e avventuroso, monolitico e selvaggio.

Nell’immaginario del trio milanese, è tanto centrale la controversa fenomenologia del potere, delle sue manifestazioni e dei suoi volti più biechi, quanto lo sono le stordenti distorsioni di chitarra. L’elemento curioso, per chi non abbia familiarità con il lavoro dei Fuzz Orchestra, è il suo non essere cantautorale: le voci nel disco sono infatti tagliate e prese in prestito per lo più da vecchi film o varie tracce audio (da Volonté a Pasolini e molto altro). Non ci sono voci inedite (o cantate da un membro del gruppo) e il tutto è affidato al “rumorista” Ferraio, che si aggiunge al chitarrista Luca Ciffo e al nuovo batterista Mongardi. Le scelte sono magistrali e riportano temi come la corruzione e la distorsione della morale dell’uomo ad opera del potere e della proprietà, li trattano con fervore critico e sovversivo, minando alla base i presupposti del sistema liberal-capitalista, lungo meccaniche antiche e ambiguità classiche di ogni società, in un registro tipico dello scontro con il moderno potere costituito e dell’anarchismo.

L’assalto iniziale di Sangue e La Proprietà è fulminante, l’unico esempio di bel canto femminile lo si trova in Svegliati Ed Uccidi, dove l’unione con la spietata strumentale della band è veramente di forte impatto. Segue Viene Il Vento, che ospita Xabier Iriondo alla chitarra, in cui i fiati (già presenti in Il Paese Incantato, brano più lungo dell’album) stridono contro le chitarre in un viscerale sapore avant-noise che a me ha fatto tornare in mente un disco dei Little Women. A chiudere l’apocalittica In Verità Vi Dico e l’aggressione finale della title track che chiude l’opera dopo oltre mezz’ora, in cui un Tony Iommi prestato al noise-rock si accavalla ad arringhe sanguigne su temi archetipici del pensiero politico, in un unico corpo sonoro che scuote coscienze, reclama headbanging e, nella mia mente, fa tremare nazioni dalle fondamenta.

Wallace w/ Brigadisco, Bloody Sound Fucktory, Boring Machines, Cheap Satanism, To Lose La Track, Il Verso del Cinghiale, Offset, Tandori, Villa Inferno, 2012

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