Una storia emiliana | Gazebo Penguins @ Locomotiv Club, Bologna

Le fotografie sono a cura di Alise Blandini

Voglio raccontarvi una storia. Questa storia è una di quelle sui momenti bui a cui va cercata necessariamente una soluzione anche temporanea che ti possa riempire lo stomaco, come uno di questi panini mezzi freddi e mezzi caldi di cui mi sono già pentito di aver preso qui, nell’autogrill di Modena Nord, mentre torno a casa da Bologna. Uno di quei racconti che in fondo diventano romantici solo per il valore che gli vuoi dare, forse perché ci affezioniamo, umani come siamo, alle cose che ci fanno stare bene, anche solo per qualche ora.

 

Per inquadrarlo c’è da prendere l’autostrada, sbagliare una svolta appena si arriva in città, tirare su gli amici vicino alla stazione e rifugiarsi nel baretto dei cinesi perché hai fatto male i conti sugli orari e devono ancora aprire il Locomotiv. Il tempo giusto per aggiornarsi delle ultime reciproche evoluzioni e accordarsi su tutti quei viaggi che non si faranno mai, o di come dovrebbe andare la vita da queste parti. Poi il tempo passa e anche i bicchieri, e aprono le porte, la fila scorre veloce, si mette in stand by tutto il resto, appena si entra. Non lo scrivono agli ingressi, ma forse è meglio così.


Alla chitarra, al sudore e ai capelli c’è il folk sincero di Phill Reynolds, che scrive canzoni anche lui sulle cose che non si devono perdere. Le ultime sigarette, le birrette, i Gazebo Penguins che salgono sul palco. Cercavamo una nostra storia emiliana e poi si è confusa con la loro, come mezzo per sentire del calore, perché non devi dire molto se sai come farlo, non hai bisogno di milioni di ore se quando ci sei dai tutto. Non serve nemmeno salutare o creare un particolare tipo di ambiente se le persone con cui sei lo fanno già da sole, con il loro particolare modo di stare al mondo. È un po’ il valore di Nebbia, no? Accorgersi che in fondo il buio un po’ te lo scegli, un po’ ci nasci insieme, ma non per questo smetti di guardare oltre anche se è uno dei mattoni che tiene su casa tua. Si comincia con Bismantova, che apre anche il nuovo album, e  c’è qualcosa di diverso, è come rompere il ghiaccio con altro freddo, ma basta solo che la batteria si riprenda per capire che, per una volta, tutto è rimasto come te lo ricordavi. Fuoriporta è una canzone che parla anche di Bologna, e di tutti quei muri che sono stati coperti nelle nostre città in nome di una pulizia dentro e fuori, promossa da quel genere di autorità che ci spinge via.

Là davanti, alle prime file, basta solo un accenno per esplodere. L’arrivo di Atlantide è quella scintilla, il pretesto per unirsi in maniera differenti, spingendosi, provocandosi, una forma di affetto non convenzionale verso sconosciuti che vogliono dirti le stesse cose ma non sanno come fare. I Gazebo quasi perdono le parole ma urlano il doppio per recuperarle, spaccare la batteria su Difetto e farsi seguire da chi c’è, in fondo per quella generale impossibilità di prendere posizione, per aprire il cerchio e poi buttarsi nel mezzo. Se fa male, stare lì, metà della responsabilità è quella necessità di farne parte.

Certe cose hanno semplicemente bisogno di uscire, è questo il senso di Soffrire non è utile, e non è nemmeno sbagliato farlo, lo puoi scrivere sui borderò, sugli strati di questo tovagliolo unto, ma se determinate parole hanno un significato per te, come lo ha certa musica, è già abbastanza. Vale per l’introduzione su Ho perso il tram delle sei, per quel clima malinconico di Febbre e di quel Finito il caffè che ti entra così tanto nelle vene quando si cambia. La ruggine c’è anche in gola, perché la voce di tutto si perde. La felicità non è mai stata così lontana, che è parte di Nevica e di Daniele, il quarto nuovo elemento di una storia fatta sempre in tre, come già accolto senza aver bisogno di dirgli nulla. Obiettivo di quella Riposa in piedi, che anticipa l’uscita di scena di Pioggia. Un delicato modo per dirsi addio, anche quello. È come se fosse più difficile salutarsi dopo essere tornati che mancare per tanto tempo. Malinconia che galleggia, tutto intorno e per tutto il concerto, anche se alcune facce si sono ingrigite e altre non ci sono più, ma quelli più giovani non hanno costantemente il cellulare in mano, forse perché per una volta si ritrovano attorno quelli che vogliono. Non è magia, è soltanto buttarsi, e trovare persone come te. I Gazebo Penguins non fanno mai il bis, semmai danno il colpo finale alle ginocchia di chi c’è, con Trasloco e Senza di te. Lo fanno, con l’ultima dedica, a quelli di Correggio, di Zocca e di Carpi, in fondo a tutta quella parte di Emilia che c’è sempre stata e in Nebbia è riuscita a uscire definitivamente.

Sono le 2 e mezza, in questo autogrill non entra più nessuno da un po’ ed è ora di ritornare a casa, per chiudere questa strana storia emiliana prima che si perda.

 

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