Giancarlo De Cataldo: “La politica in fondo è più feroce di Romanzo Criminale”

a cura di Mattia Insolia

Thriller, noir, gialli e polizieschi. Sono questi i generi più venduti in Italia, filoni fortunati che affascinano per la capacità intrinseca di avere insieme una trama godibile e uno stile semplice, che non s’incaglia in puntigliose, altezzose, inutili vette. Certo, di romanzi in cui coabitino qualità del genere ce ne sono tanti, sia di esordienti sia di noti, ma se ciò che si cerca è una storia che intrattenga e che, possibilmente, faccia riflettere, con uno dei generi di cui sopra si va a colpo sicuro. In un universo saturo come questo, un occhio di riguardo, inconsciamente, è sempre rivolto a quegli autori che conosciamo già. Di cui abbiamo sentito parlare. Che sono stati definiti casi editoriali, campioni di vendite, mostri della casa. Uno tra questi è Giancarlo De Cataldo che, con Romanzo Criminale prima, e Suburra dopo, si è piazzato tra i primi posti delle classifiche internazionali e che ha visto i suoi lavori trasposti alla tivù e al cinema. In occasione del Taobuk festival, la fiera del libro con gli autori di Taormina, l’abbiamo intervistato.

Come si è evoluta la produzione letteraria italiana negli ultimi anni?

Non credo che ci siano grandi cambiamenti nel “fare” letteratura. C’erano ieri scrittori che nascevano “nobili” e altri che avevano un successo di massa senza essere ritenuti, quanto meno dalla critica, altrettanto importanti; e ci sono anche oggi. Oggi come ieri gli addetti ai lavori sono sempre interessati al mercato, che non è un’invenzione dei “turpi” tempi moderni: basta leggersi la memorialistica e la saggistica dei bei tempi andati per capire che le cose non cambiano: ci si azzuffa oggi come ci si azzuffava ieri per uno Strega, perché fa vendere, si appartiene a “famiglie” letterarie ed editoriali in competizione le une con le altre e via dicendo. Profondi cambiamenti si vedono, invece, nel pubblico. Si legge di meno, ed è un dato di fatto, e c’è una tendenza a polarizzare le età, le classi, le scelte, il genere: le lettrici sono più dei lettori, i benestanti leggono più degli altri, il Nord legge più del Sud, la gente sopra i 50 legge più di tutti gli altri, i lettori forti diventano fortissimi e i non-lettori… è difficilissimo avvicinarli alla lettura. E gli e-book et similia non compensano la perdita di lettori del cartaceo.

Il rapporto sempre più stretto tra letteratura e cinema, instauratosi negli anni Cinquanta, credi che sia giunto a maturazione? In che modo l’evoluzione cinematografica ha influito su quella letteraria e viceversa?

Il cinema sta vivendo un’era di residualità analoga a quella della letteratura di cui si parlava sopra. Il pubblico del cinema è anziano e ridotto, si concentra nei grandi eventi (festival, ecc.) ma in generale i giovani in sala ci vanno poco e malvolentieri. Anche qui c’è un’evidente polarizzazione tra i film da festival, che mietono premi e allori ma non necessariamente riempiono le sale, e film ispirati ai supereroi o commedie di famiglia, che la critica ignora e che incassano ancora benino. Altro discorso per le serie televisive: settore in grande espansione, vivo, vitale e interessante. È lì che stanno non solo il futuro, ma lo stesso presente della narrazione.

Giancarlo De Cataldo

A proposito di cinema. Sul grande schermo con i tuoi romanzi hai portato temi, immagini e personaggi molto forti, che hanno scardinato, per certi versi, l’impalcatura di buonismo su cui alcuni si adagiavano. Credi che lettori e spettatori possano trarre giovamento dalla narrazione di una materia tanto forte?

Mah. Se mi guardo intorno e penso alle imprese di certi leader, al livore degli hater, al tono in generale dell’informazione e del dibattito politico mi dico che in fondo il Libanese era un bravo diavolo. E il modello imperante è Frank Underwood, quello di House of Cards.

Alcuni tendono ad accostare Romanzo Criminale, uno dei tuoi lavori più celebri, a Gomorra, di Roberto Saviano. Credi che ci sia un nesso tra le due opere? Se sì, a che livello?

I libri sono diversi, e anche i film lo sono. Le serie ispirate ai libri (e ai film) hanno qualcosa in comune: un’enfatizzazione della dialettica interna al mondo notturno del crimine con l’esclusione dei “buoni”. È un modello narrativo che Romanzo Criminale anticipa (dopo tutto precede di alcuni anni Gomorra) e che ha costituito una modificazione sensibile rispetto al tradizionale impianto western della lotta fra il poliziotto e il criminale.

Cultura e società oggi sono intrecciate? L’arte, e in particolare la letteratura, cerca ancora di raccontare la società e la società a sua volta si rifugia nell’arte?

È tutto vero e lo è sempre stato: l’arte si ispira alla società e viceversa. Il che non impedisce di trovare brandelli di saggezza e di verità anche nel fantasy, nella fantascienza e dovunque, come diceva Hemingway, ciò che è noto e l’ignoto si fondono per dar vita a un oggetto narrativo autonomo e indipendente che prende il meglio da entrambi. Ancora una volta, ciò che è cambiato è l’atteggiamento del pubblico nei confronti dell’arte: la fruizione sta inesorabilmente sostituendo la dialettica. Oggi si consuma più che interrogarsi sul senso delle cose che si vedono, sentono, leggono.

Hai qualcosa di nuovo a cui stai lavorando?

Sì, ma sono superstizioso e finché non ho scritto la parola fine non ne parlo.

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