Ma in Italia il Guardian venderebbe?

A proposito di giornali del ventunesimo secolo la tendenza al ribasso sembra diventare ordinaria, e Francesco Costa ci offre lo spunto per una riflessione a parziale penitenza nel gran gioco al massacro. Qui siamo pesci piccoli nel mare della scrittura sul web, ma il discorso dovrebbe valere lo stesso, perché produciamo parole (anche se non a cadenza quotidiana fissa), e l’unico atto che possiamo fare con le parole è essere sinceri mentre le usiamo, senza cavalcare ondate e sentimentalismi vari. La tendenza, da quando ci sono di mezzo i social insieme alle parole, pare essere invece quella dello sfruttamento della parola per aumentare gli share e i like: sacrosanto, sia chiaro, se non fosse che tutto questo sbocca a volte in una seconda tendenza, quella di premiare la quantità sulla qualità. Costa, dicevamo, ci fa notare come funziona il Guardian all’estero, anche se poi il Guardian ovviamente vende meno del The Sun e dei tabloid da sensazionalismo al retrogusto di gossip (mentre il Guardian mantiene una linea editoriale). Alcuni spunti che mette in evidenza il pezzo sono:

1. Il modo di trattare la cronaca. All’epopea dei giornali nostrani, lo strillo, l’urlo, il sensazionalismo del titolo, l’orrore e il sentimento che fanno a pugni col risentimento, Costa fa notare un trattamento della storia che si limita alla descrizione e alla comunicazione di un fatto. Cronaca che va raccontata e descritta nei suoi fatti senza la pretesa di essere Hemingway o la Fallaci, che non ha bisogno dei talk show della televisione e di enormi discussioni o editoriali del buongiorno. Lasciamo le lacrime ai giornali senza fantasia.

2. La politica non è tutto nella vita di un uomo o di una donna. Lo sfruttamento dei sentimenti politici da parte del giornali italiani è all’ordine del giorno, a partire dalla carta stampata, che ha sempre dedicato ampissimo margine d’interesse alla politica, e sempre ben poco spazio agli esteri, al resto del mondo dove viviamo. In questo soltanto Internazionale (che però traduce articoli dall’estero) riesce ad essere una fonte di informazione per quel che succede in Siria, in Kenya, in Cina, mentre siamo qui a rabattare parole su Berlusconi e compagnia. Eppure è molto più interessante un reportage dall’estero di un qualsiasi scambio di parole tra compagni di partito. In Italia ne siamo soffocati, probabilmente è anche un piccolo problema linguistico (la nostra lingua è quasi provinciale rispetto all’inglese), ma soprattutto una tendenza che asseconda un disinteresse quasi atavico per quel che succede lì fuori tutti i giorni. E’ ovvio che poi se un pezzo su Berlusconi viene condiviso più di uno che sulla guerra in Siria, il web continua ad assecondare questa tendenza al ribasso. Ma è questo che volete? un giornale scelto da voi, con i temi che suggerite voi, o una proposta di lettura? Probabilmente chi ha proposto fino ad ora ne resta momentaneamente sconfitto, ma non è detto che così sarà anche domani.

3. Sulle pagine di cultura e società, e la grande confusione che c’è oggi a proposito di tutto questo, poi potremmo parlare in eterno. Spesso lo spettacolo addirittura entra nella categoria, come se una soubrette qualunque potesse rappresentare la cultura nazionale o la società, mescolandosi ai paginoni sulle guerre mondiali di cui parlava Costa. Cultura e società sono probabilmente le pagine più ad ampio respiro e internazionali che dovremmo pretendere da un giornale, senza intrusioni di tette culi e gossip di mezzo. Cosa succede nel mondo dell’arte contemporanea oggi? Questo è quello che dovrebbe farvi vedere un giornale.

4. C’è una parentesi sui serial tv, e sul perché siamo così indietro rispetto al Guardian, che però vorrei fare. Il nostro patrimonio televisivo nazionale di serial è fermo a fiction come Un medico in famiglia, e la maggioranza degli italiani non guarda di certo Breaking Bad in streaming. Il rinnovamento in questo senso dei giornali si dovrebbe forse accompagnare a uno svecchiamento dei mezzi di comunicazione e della televisione da prima serata, della Rai tutta, e delle tv private, che sembrano molto rafferme su un certo tipo di idea nazionale, o di comunicazione che è quella che poi raggiunge la maggioranza della nazione. Se si fa l’esempio di Sanremo come festival della musica italiana si capirà meglio tutto: Sanremo è vecchio, ma rappresenta anche una certa idea di quello che è musica per la maggioranza degli italiani, che non aprono certo Pitchfork e Consequence of Sound al mattino. Svecchiare il sistema tutto richiede un gran lavoro, un’uscita dal complesso della media bassa della nazione, forse un po’ ereditato da un certo modo di fare tv e media degli anni ’80 (all’epoca forse un sistema anche innovativo ma che oggi è fermo lì).

5. Un’altra tendenza, a corollario, che vorrei analizzare è l’instant news, o istant opinion: questa si è una digraziata eredità della rete. Non tutto quello che è sul web merita di passare per un giornale che fa una proposta, valga per i pinguini che nuotano in un video, e valga anche per le informazioni wikipedia style, trasformate in articolo in pochi minuti per l’urgenza di esser condivisi.

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