Godblesscomputers – Plush and Safe

Veleno ci aveva sorpreso, togliendoci il fiato per catapultarci dentro quello che fenomeno non lo era più fuori ma da noi era ancora in attesa di esplodere. Ti entrava nelle vene per inquinarti il sangue e sedimentarsi dentro, lasciandoti poco spazio per tirarti indietro quando ormai era già troppo tardi. Di antidoti non ce n’erano abbastanza. Era solo un anno fa e, insieme ad altri, ti faceva scoprire quella nuova generazione di talenti che finalmente potevano uscire alla luce del sole, anche se sembra tutt’altro che sorto. Ai club che frequenti, alla musica che ti porti in cuffia e nei posti in cui vivi, quelle melodie ti si sono attaccate addosso, ed era nuovo capire di poter essere raccontati senza l’uso delle parole. Forse perché non ci servono più, o ne siamo così tanto sommersi da non sentirne più le sfumature. Di strada, comunque, ce n’è ancora da fare. Plush and Safe, in questo senso, aggiunge un nuovo tassello al capitolo di Godblesscomputers e altre pagine di riflessione al nostro, di libri.

Se Veleno, con i suoi campionamenti, valorizzava quel rapporto fondamentale con una natura a volte imperscrutabile ma da cui è impossibile prescindere, Plush and Safe è il suo corrispettivo umano, che rispecchia più le esperienze e le emozioni di chi l’ha composto, a riempire di potenzialità un’elettronica umana mai davvero sazia e autoreferenziale. Questo non vuol dire che vengano perse le coordinate del primo album, il suono mantiene quella componente per così dire organica, ma vengono impreziosite con l’uso di più parole, quasi a confermare la necessità di trovare spiegazioni e melodie che restituiscano tutte le tensioni interiori. Non si può dire che sia un disco fatto di inquietudine e dissidi, che comunque si avverte in tracce come Leap in the Dark e Prisoners, ma di quella versione del sereno dopo la tempesta, che permette, appunto, di trasformare la scrittura del dolore autoreferenziale, ma anche della felicità personale, in un prodotto che ha come fine quello di arrivare agli altri. Closer in questa dimensione è la traccia più riuscita, capace di incanalare dentro di sé la quantità di emozioni contrastanti di una giornata storta, fra la caduta e il tentativo di rialzarsi da tutti i colpi subiti. C’è, all’ascolto, quella sensazione del sentirsi presi a pugni della vita, spinto in qualche modo dalla componente hip hop del ritmo, che continua a svolgere un ruolo predominante nelle influenze (e nella storia personale) di Godblesscomputers. L’immersione però è completa, non si può negarlo, nel vedersi in prima persona negli spazi in cui si muove il disco, quasi a fare da colonna sonora a quei momenti che continuano a riemergerti nella memoria.

Non è un disco metropolitano, dai suoni aspri e da quei rumori cigolanti della metro sulle facce di chi torna dal lavoro immerso nel sudore altrui, ma è un album per cui sudare al ritorno a casa, forse per esperienza personale, di chi si trasferisce in una nuova città e quando torna ritrova tutti i ricordi. Plush and safe si realizza e si completa, diventando una storia preziosa e un inevitabile confronto fra il tuo essere oggi con quello che eri ieri. Passato, presente e futuro in questo mondo che non sembra interessarsi a te, quando ti accorgi che l’unica storia degna di nota è la tua.

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