Governo Letta, strade per il lavoro e il welfare

Stiamo uscendo da una campagna elettorale lunga e complessa. Nella quale si è detto di tutto, dal famoso monito “abbassare i toni” a “ci difenderemo con la piazza”. Non è importante chi abbia pronunciato le due frasi, anche perché pare che tutti gli schieramenti politici le abbiano usate, chi più chi meno. Ora però possiamo finalmente comprendere quali sono le parole reali, quelle che ci aspettano nei prossimi mesi e gli orientamenti di questo pasticcio governativo che puzza di inciucio e di democristiani.

Nei dieci punti del discorso di Letta evidenziati da “La Repubblica” ci sono due tematiche che mi hanno colpito, due frasi dalle quali mi sembra di poter estrarre alcune prese di posizione del prossimo Governo Letta. Il primo punto, quello del lavoro, recita in maniera estremamente ambigua:

Bisogna ridurre le restrizioni ai contratti a termine, aiuteremo le imprese ad assumere giovani a tempo indeterminato in una politica generale di riduzione del costo del lavoro

L’ultimo punto mi crea delle perplessità: il costo del lavoro è un concetto ambiguo che si presta a più interpretazioni. Quello che è certo però è che per “costo del lavoro” generalmente si intende la retribuzione lavorativa, il cosiddetto “salario”. Vedendola in quest’ottica la frase suona pessima perché significherebbe una vaga volontà di incentivare i contratti a tempo indeterminato abbassando i salari, cioè il costo del lavoro. La mia domanda al Governo Letta in questo senso è: precisamente, cosa intendete per abbassamento del costo del lavoro?

Il secondo punto oscuro è quello sul Welfare:

Dobbiamo rilanciare il welfare tradizionale europeo – spiega Letta – il nostro modello non basta più, deve essere più universalistico e meno corporativo aiutando i più bisognosi, migliorando gli ammortizzatori sociali estendendoli ai precari e si potranno studiare forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli

Anche questa volta è l’ultima parte che mi insinua il dubbio. Tralasciando il concetto di “ammortizzatore sociale”, cosa vuol dire studiare forme di reddito minimo? Probabilmente nulla, il fatto che il governo voglia studiare è una simpatica trovata comunicativa per dire che ci saranno dei passaggi di valutazione di un eventuale forma (?) di reddito minimo: tradotto vuol dire che possiamo anche dimenticarcelo. Inoltre cosa vuol dire famiglie bisognose con figli? Intende per i conviventi? Le coppie sposate? I precari? I disoccupati? Gli inoccupati che hanno un figlio e che vivono sotto lo stesso tetto con la madre? E le coppie di fatto?

La mia domanda a questo proposito è: caro Enrico Letta, ma di che cosa sta parlando?

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